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...perchè la sicurezza è cosa di tutti...

La Percezione del Rischio

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La percezione del rischio è personale: decidiamo di affrontare o evitare la situazione di rischio in modo soggettivo. Ogni nostra attività quotidiana, è basata sulla percezione che noi abbiamo del rischio ed è il frutto di una sua conscia (o inconscia) valutazione. Il processo percettivo del rischio è poi fortemente influenzato dalle emozioni generate nel momento in cui scopriamo ed impariamo un nuovo pericolo e quale possibile danno può arrecarci.

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Ad esempio, un possibile pericolo è che il lavoratore ritenga di avere sotto controllo la situazione solo perché da molto tempo non si sono verificati incidenti.

La percezione individuale

La percezione individuale del rischio è influenzata da abitudini ed esperienze pregresse: l’individuo tende a sottovalutare i rischi connessi alle abitudini di lavoro (es. il mancato utilizzo di DPI), i rischi che si presentano quotidianamente (es. allestimento di un ponteggio) e quelli a bassa probabilità (es. crollo del ponteggio); si basa sull’esperienza personale o di altri; varia in rapporto all’accettabilità collettiva del rischio, che si modifica nel tempo, nei luoghi, nei gruppi di lavoro, nelle culture ed in rapporto ai valori personali e culturali, all’età, al sesso.

Tra i principli fattori che appunto influenzano la percezione individuale del rischio, ci sono sicuramente:

Fiducia
Rischio e Beneficio
Controllo
Libertà di scelta
Naturale o creato dall’uomo
Gravità delle conseguenze
Catastrofico o Cronico
Incertezza

Inoltre la percezione è influenzata anche dalle caratteristiche del “danno” o “evento” che deriva dal comportamento ritenuto a rischio, per esempio, il  fatto che  l’eventuale danno sia collocato in un lontano futuro, rende minore l’impatto emotivo del rischio (si pensi al fumo).

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La cultura della sicurezza e della formazione

La sicurezza va intesa come parte integrante di tutti gli aspetti. Questa comprende i processi organizzativi, le pratiche professionali, le norme scritte, le convenzioni informali, i linguaggi, i modi di pensare, di percepire e di rappresentare il rischio nell’azienda.
Chi gestisce l’azienda deve passare, dall’ottica di adempimento schematico e rituale delle leggi, ad un approccio condiviso di lavorare in sicurezza. Non favorire il benessere all’interno della struttura significa generare, a tutti i livelli, alibi che convergono verso soluzioni “comode” e non sicure.
Soprattutto la mera informazione non genera cambiamento nelle prospettive personali e l’applicazione di sanzioni disciplinari come punizione non può essere considerato il solo e unico strumento di costruzione di comportamenti sicuri. La percezione della cultura della sicurezza si ottiene soprattutto quando i dipendenti credono nella “mission” e la sicurezza viene “vissuta” giorno per giorno.
Quest’aspetto si intreccia a pieno titolo con il discorso della formazione, poiché maggiore è la percezione di attenzione generale e maggiore sarà la possibilità che i dipendenti apprendano le procedure di sicurezza.

Gli atteggiamenti individuali

La percezione del rischio è un processo cognitivo che condiziona le attività e gli atteggiamenti degli individui. I comportamenti sicuri, attuati nell’ambito del proprio lavoro, condizionano la vita quotidiana in molti dei suoi aspetti.
Eccezion fatta per alcuni meccanismi ritenuti oggettivi, la percezione del rischio è condizionata da una valutazione soggettiva del pericolo (propensione al rischio).

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Può infatti, capitare che lo stesso episodio venga percepito in maniera differente dalle persone. Nello svolgimento della propria attività lavorativa, c’è chi sovrastima il rischio a cui è esposto e chi invece tende a sottovalutarlo (illusione di sicurezza).
In generale c’è la tendenza a sottostimare il rischio di eventi con conseguenze di lieve o media gravità ma con alta probabilità di accadimento, e ad esagerare il rischio di eventi con conseguenze molto gravi ma con bassa probabilità di accadimento.
Un caso a parte risulta essere quello di chi ha avuto un’esperienza personale di infortunio, poiché episodi di questo tipo comportano un aumento della percezione del rischio e un calo della soddisfazione verso le misure di sicurezza adottate sul posto di lavoro.

Le differenze legate al tipo di lavoro

Analizzando la percezione del rischio in base a fattori come il tipo di occupazione svolta, il tipo di contratto lavorativo, l’esperienza maturata e le conoscenze possedute, il primo dato che emerge è che i lavoratori con mansioni non decisionali sarebbero più inclini agli infortuni rispetto ai lavoratori con più responsabilità e con incarichi superiori.
Anche le differenze di tipo contrattuale influenzano la percezione del rischio di ciascun lavoratore. Chi ha un contratto a tempo determinato tende ad avere una bassa considerazione dei rischi legati al proprio lavoro. I lavoratori a tempo indeterminato, invece, risultano avere una percezione del rischio maggiore e a mantenere un livello d’attenzione alto.
All’interno di questa analisi vanno considerati anche i lavoratori immigrati, che nel Paese ospitante sono spesso costretti ad accettare mansioni a più alto rischio e condizioni di lavoro più disagiate o pericolose (lavoro “a nero”, orari prolungati, straordinari). Rispetto ad altri dipendenti non ricevono un’adeguata formazione sulla sicurezza, con la conseguente mancanza di conoscenza dei rischi a cui sono esposti e una maggiore propensione agli infortuni.

Le differenze di genere

La cultura della sicurezza e la percezione del rischio sono valutate in maniera differente anche in base al sesso del lavoratore. Se vengono poste le stesse domande sulla sicurezza a lavoratori di genere differente, vedremo che le risposte non saranno le stesse. Le donne, infatti, risultano avere una maggiore sensibilità nella percezione del rischio rispetto agli uomini.

Probabilmente per il cosiddetto “istinto materno” che le contraddistingue, le donne riescono a raggiungere un maggior livello di partecipazione e coinvolgimento rispetto alle dinamiche sulla sicurezza nel posto di lavoro.

Le differenze legate all’età

In base all’età, si riscontra una maggiore incidenza di infortuni tra la popolazione lavorativa giovane, rispetto a quella più anziana. Questo fenomeno non è sempre dovuto alla disattenzione o all’impulsività, quanto invece, più frequentemente, alla poca esperienza professionale.
La scarsa propensione ad assumere comportamenti sicuri sul posto di lavoro da parte dei giovani, è dovuta a una minore presa di coscienza delle conseguenze che i determinati atteggiamenti possono avere poiché comporterebbe un cambiamento del proprio stile di vita.

I “near miss”

È evidente che gli incidenti rappresentino una miniera di informazioni vitale per la prevenzione degli infortuni.
In particolare la raccolta di dati e di informazioni sulla moltitudine di “quasi infortuni” che accadono in un’azienda, può favorire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e la scelta di politiche di prevenzione più efficaci.

Ai “near miss” (i quasi infortuni), ad esempio un’attrezzatura che cade (senza colpire nessuno) in un zona di passaggio dei lavoratori, viene infatti riconosciuto il ruolo di precursori di incidenti più gravi; un’attenta investigazione di tali eventi può quindi fornire indicazioni efficaci sui possibili interventi migliorativi, tecnici e gestionali nelle aziende.

In conclusione

Quando si parla di incidenti, le cause sono principalmente due e di solito sono contemporanee:
– la causa prossima: una manovra sbagliata, una disattenzione, una scivolata, un guasto della macchina;
– la causa remota: cattiva organizzazione del lavoro, inadeguata formazione e informazione, errata valutazione del rischio, mancanza di una cultura della
sicurezza.

La tutela della salute è la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Il testo unico definisce la salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza
di malattia o d’infermità.

La tutela della sicurezza quindi, comprende tutte le misure di prevenzione e protezione contro gli infortuni.

Lo staff di direzionesicura

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(per questo articolo si ringrazia A., uno dei nostri primi docenti)

Il Servizio di Prevenzione e Protezione

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Oggi vediamo quali compiti gli sono affidati e come è composto il Servizio di Prevenzione e Protezione.

Fonte : pixabay.com

L’articolo 31 del D.lgs. 81/2008 tratta il Servizio di Prevenzione e Protezione dove, nello specifico, il datore di lavoro organizza il servizio all’interno della azienda o della unità produttiva o incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro.

Chi ne fa parte?

Gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni, devono possedere le capacità e i requisiti professionali contenute all’articolo 32, devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati allo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa della attività svolta nell’espletamento del proprio incarico. Nell’ipotesi  di  utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio.

Il ricorso a persone o servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti   che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 32 del D.lgs. 81/2008 che tratteremo più avanti. Se il datore di lavoro ricorre a persone o servizi esterni non è comunque esonerato dalla propria responsabilità in materia.

Quando è obbligatorio

L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:

  • nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n.  334, e successive modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;
  • nelle centrali termoelettriche;
  • negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n.  230, e successive modificazioni;
  • nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
  • nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;
  • nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
  • nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.

Nei summenzionati casi il responsabile del servizio di prevenzione e protezione deve essere interno.

Nei casi di aziende con più unità produttive nonché’ nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione.

I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile.

Fonte : pixabay.com

I requisiti del personale

L’articolo 32 del D.lgs.81/2008 contiene i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni i quali devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.

Per lo svolgimento delle funzioni da parte degli addetti al servizio, è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore nonché di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative. Per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di cui al precedente periodo, è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato di cui all’articolo 28, comma 1 del D.lgs. 81/2008, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali.

I corsi di cui ai periodi precedenti devono rispettare in ogni caso quanto previsto dall’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 febbraio 2006, e successive modificazioni. Possono altresì svolgere le funzioni di responsabile o addetto coloro che, pur non essendo in possesso del titolo di studio indicato al comma 2 dell’articolo 32, dimostrino di aver svolto una delle funzioni richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003 previo svolgimento dei corsi secondo quanto previsto dall’Accordo di cui al comma 2.

I corsi di formazione di cui al comma 2 dell’articolo 32,sono organizzati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, dalle università, dall’ISPESL, dall’INAIL, o dall’IPSEMA per la parte di relativa competenza, dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, dall’amministrazione della Difesa, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione e dalle altre Scuole superiori delle singole amministrazioni, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o dagli organismi paritetici, nel rispetto dei limiti e delle specifiche modalità ivi previste, ulteriori soggetti formatori possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Coloro che sono in possesso di laurea in una delle seguenti classi: L7, L8, L9, L17, L23, e della laurea magistrale LM26 di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca in data 16 marzo 2007, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 155 del 6 luglio 2007, o nelle classi 8, 9, 10, 4, di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica in data 4 agosto 2000, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 245 del 19 ottobre 2000, ovvero nella classe 4 di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica in data 2 aprile 2001, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 128 del 5 giugno 2001, ovvero di altre lauree e lauree magistrali riconosciute corrispondenti ai sensi della normativa vigente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su parere conforme del Consiglio universitario nazionale ai sensi della normativa vigente, sono esonerati dalla frequenza ai corsi di formazione di cui al comma 2 dell’articolo 32 del D.lgs.81/2008, primo periodo.

Ulteriori titoli di studio possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. In tutti i casi di formazione e aggiornamento, previsti dal decreto legislativo 81/2008, in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in tutto o in parte, a quelli previsti per il responsabile e per gli addetti del servizio di prevenzione e protezione, è riconosciuto credito formativo per la durata ed i contenuti della formazione e l’aggiornamento corrispondenti erogati. Gli istituti di istruzione e universitari provvedono a rilasciare agli allievi equiparati ai lavoratori, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), e dell’articolo 37, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 81/2008, gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro. I responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione sono tenuti a frequentare corsi di aggiornamento secondo gli indirizzi definiti nell’Accordo Stato-Regioni cui fa riferimento il comma 2 dell’articolo 32 D.lgs. 81/2008.

 Negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, il datore di lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, individuandolo tra:

  • il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari a tal fine disponibile;
  • il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti.

 In assenza del personale summenzionato, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera comune dell’opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero professionista. Comunque sia  il datore di lavoro che si avvale di un esperto esterno per ricoprire l’incarico di responsabile del servizio deve comunque organizzare un servizio di prevenzione e protezione con un adeguato numero di addetti.

Fonte : pixabay.com

E’ opportuno specificare che il Responsabile del servizio prevenzione e protezione coordina addetti ed attrezzature del servizio e dunque i vari compiti che deve svolgere, i quali sono contenuti nell’articolo 33.

I compiti

Vediamo dettagliatamente  i compiti affidati al servizio di prevenzione e protezione, dai rischi professionali il quale provvede:

  • all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
  • ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2 del D.lgs.81/2008, e i sistemi di controllo di tali misure;
  • ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
  • a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
  • a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
  • a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36 del D.lgs. 81/2008.

 I componenti del servizio di prevenzione e protezione sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni.

Lo Staff di direzionesicura

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Il Burnout

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Il termine inglese “burnout” può essere tradotto letteralmente in “bruciato”, “fuso” ed indica una condizione d’esaurimento emotivo derivante dallo stress dovuto alle condizioni di lavoro e a fattori della sfera personale ed ambientali.

fonte web

Dove nasce il burnout?

Il fenomeno fu studiato per la prima volta negli Usa da Herbert Freudenberger che nel 1974 pubblica il primo articolo sull’argomento (“Staff
burnout” in: Journal of Social Issues) in cui denomina burnout un quadro sintomatologico individuato in operatori di servizi sanitari (infermieri e
medici) particolarmente esposti allo stress conseguente al rapporto diretto e continuativo con un’utenza disagiata.

Successivamente C. Maslach (1976) descrive il burnout come malattia
professionale specifica degli operatori dell’aiuto (personale ospedaliero,
assistenti sociali, insegnanti), che colpisce soprattutto quelli più motivati e
con aspettative maggiori riguardo al lavoro.

In anni più recenti, sono state molte le conseguenze attribuite al fenomeno:

  • reazioni d’esaurimento emotivo a carichi di lavoro percepiti come eccessivi;
  • perdita di interesse per le persone con cui si lavora in risposta allo stress lavorativo;
  • disaffezione al proprio lavoro caratterizzato da delusione, insofferenza, intolleranza, sensazione di fallimento, perdita di interesse e di entusiasmo.

Può colpire chiunque!

Occorre però precisare che il burnout non colpisce solo le persone impegnate in professioni socio sanitarie, tutte le attività lavorative implicano contatti interpersonali e quindi un certo livello di tensione.

Cosa succede a livello comportamentale?

L’individuo affetto da burnout svilupperà una o più reazioni comportamentali come quelle di seguito descritte:

  • Profonda sensazione di stanchezza sia fisica che emotiva
  • Atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti interpersonali
  • Forte sentimento di frustrazione per mancata realizzazione delle
    proprie aspettative
  • Anedonia

a livello organizzativo invece…

  • Aumento dell’assenteismo
  • Aumento del turnover
  • Calo della performance
  • Calo della qualità del servizio
  • Calo della soddisfazione lavorativa

In sintesi…

Che siate esposti al pubblico o meno, che lavoriate nel sociale, in ambito sanitario o qualunque lavoro voi facciate, ricordate che l’eccessiva percezione dei carichi lavorativi, la sensazione di essere in perenne ritardo o non soddisfatti di come si lavori, a lungo fa molto male…bisogna parlare con chi ci sta intorno e far si che il lavoro resti il mezzo per condurre una vita serena e non l’unica ragione di vita come la società attuale ci sta portando a credere.

Lo Staff di direzionesicura

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Medico competente e sorveglianza sanitaria

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Chi è il medico competente?

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Il Testo unico in materia di salute e sicurezza indica titoli e requisiti che deve possedere il medico competente attraverso l’articolo 38. I medici per poter svolgere le funzioni da medico competente devono necessariamente possedere uno dei seguenti titoli o requisiti:

  • specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica;
  • docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro;
  • autorizzazione di cui all’articolo 55 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
  • specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale;
  • con esclusivo riferimento al ruolo dei sanitari delle Forze Armate, compresa l’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, svolgimento di attività di medico nel settore del lavoro per almeno quattro anni.

E’ opportuno specificare che i medici in possesso di specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale, sono inoltre tenuti a frequentare appositi percorsi formativi universitari tranne per quei medici che alla data del 9 aprile 2008 svolgano l’attività di medico competente o dimostrino di avere svolto tali attività per almeno un anno nell’arco dei tre anni antecedenti al 9 aprile 2008.

Per lo svolgimento delle funzioni di medico competente è altresì necessario partecipare al programma di educazione continua in medicina, ai sensi del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, e successive modifiche e integrazioni, a partire dal programma triennale successivo all’entrata in vigore del decreto legislativo 9 aprile 2008 n.81. I medici in possesso dei titoli e dei requisiti summenzionati sono iscritti nell’elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.

L’attività di medico competente è svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del Codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH). Il medico competente svolge la propria mansione in qualità di:

a) dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l’imprenditore;

b) libero professionista;

c) dipendente del datore di lavoro.

Attenzione però, perché il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente.

Il datore di lavoro inoltre, assicura al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti garantendone l’autonomia. Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri.  Nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi d’imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento.

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Chiarito chi è il medico competente e quali sono i requisiti che deve avere per svolgere tale mansione vediamo adesso in cosa consiste la sorveglianza sanitaria.

Sorveglianza sanitaria

La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva che vedremo più avanti o qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.

La sorveglianza sanitaria comprende:

  • visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
  • visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
  • visita medica preventiva in fase pre-assuntiva;
  • visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.

Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase pre-assuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non è incompatibile con le disposizioni dell’articolo 39, comma 3. Del D.lgs. 81/2008.

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Le visite mediche summenzionate non possono essere effettuate per accertare stati di gravidanza e negli altri casi vietati dalla normativa vigente.

Le visite mediche sono a cura e spese del datore di lavoro e comprendono gli esami clinici, biologici e indagini diagnostiche mirate al rischio, ritenuti necessari dal medico competente.

Nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento, le visite di cui al comma 2, lettere a), b), d), e-bis) e e-ter) dell’articolo 41 del D.lgs. 81/2008 sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio di cui all’articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi contenuti nell’ALLEGATO 3A del D.lgs.81/2008 e predisposta su formato cartaceo o informatizzato, secondo quanto previsto dall’articolo 53 del medesimo D.lgs.

 Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

  • idoneità;
  • idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
  • inidoneità temporanea;
  • inidoneità permanente.

Per tutti i giudizi relativi alla mansione, il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto, dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro. Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea dovrà precisare i limiti temporali di validità. Avverso i giudizi del medico competente ivi compresi quelli formulati in fase pre-assuntiva è ammesso ricorso, all’organo di vigilanza territorialmente competente, entro trenta giorni dalla data di notifica del giudizio il quale dispone dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.

Il Medico competente è una delle figure chiave dell’organizzazione, un cardine anche nella valutazione dei rischi e nella stesura del D.V.R.

La sorveglianza sanitaria, allo stesso modo, è uno strumento a favore del lavoratore e a salvaguardia della tutela della salute dello stesso.

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Il Rischio RADON

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Oggi trattiamo un argomento spesso sottovalutato perché ancora poco conosciuto a molti, anche operanti nel nostro settore: il rischio Radon.

fonte web

Cosa è il Radon?

Il Radon è un gas radioattivo appartenente alla classe dei “gas nobili” prodotto dal decadimento radioattivo del Thorio e dell’Uranio 235-. Emette radiazioni ionizzanti, è incolore ed estremamente volatile, inodore, non reagisce con altri elementi chimici. E’ il più pesante dei gas conosciuti (densità 9.72 g/l a 0°C, 8 volte più denso dell’aria).

Come si propaga?

Il meccanismo principale che trasporta il gas dal suolo agli ambienti di vita chiusi è la differenza di pressione tra l’interno (in genere in depressione) e l’esterno dell’edificio, attraverso le fessurazioni, le aperture e le discontinuità (anche microscopiche) nelle strutture dell’edificio.

come il Radon entra in casa nostra

Il radon, essendo più pesante dell’aria, tenderà ad accumularsi all’interno degli ambienti chiusi o comunque scarsamente ventilati. E’ un inquinante tipicamente indoor “naturale”.

La sua pericolosità è però aumentata a causa dei moderni stili di vita e delle tecniche edilizie basate sul risparmio energetico e sul ridotto ricambio d’aria.

Quali sono i luoghi maggiormente a rischio?

immagine dal sito del ISS

I luoghi di lavoro adibiti ad uso o stoccaggio di materiali non radioattivi
ma contenenti elementi radioattivi naturali, ad esempio, aziende adibite
alla lavorazione di sabbie zirconifere, di terre rare, industrie di ceramiche,
produzione di materiali refrattari, etc.; luoghi di lavoro connessi con
attività estrattive o stabilimenti termali.

Anche i materiali per l’edilizia emettono diverse quantità di
radiazioni, a seconda della zona di provenienza. Alcuni materiali da costruzione (granito, tufo, porfido, basalto, cementi pozzolanici ecc.) contengono più radiazioni di altri.

…ed ancora…

Banche, Istituti di vigilanza, Musei, Caveau, locali di sicurezza, Gallerie, Cantieri, Sottovia, Locali commerciali;

Archivi di biblioteche, uffici, scuole, ospedali, immobili pubblici…

e altri luoghi di lavoro diversi da quelli precedentemente menzionati ma
situati in zone ad elevato rischio di contaminazione da Radon (individuate
dalle Regioni e dalle Province autonome).

Quali sono i danni per la salute?

Il Radon viene respirato insieme all’aria creando seri danni al sistema respiratorio. Nella fase di decadimento il Radon rilascia particelle alfa che possono provocare danni fisici e chimici al DNA delle cellule dell’epitelio polmonare.

Dal decadimento del Radon vengono poi a formarsi una serie di particelle solide radioattive che si accumulano nei polmoni sotto forma di elementi pesanti che continuano ad emettere radioattività e a danneggiare l’epitelio polmonare. L’accumulo dei danni al DNA può concretamente determinare l’insorgenza del cancro.

Considerato una delle maggiori cause di tumore al polmone dopo il tabacco, il Radon rappresenta un fattore di rischio rilevante per circa 1 milione di edifici in tutta Italia.
Sul territorio nazionale, si stima che più del 10% dei carcinomi polmonari sia imputabile al Radon.

Dove si necessita di una valutazione preventiva del Rischio Radon?

Come tutti i rischi, bisognerebbe valutarne sempre gli effetti anche latenti in qualsiasi ambiente di lavoro e di vita, in quanto è sempre molto difficile affermare che un rischio sia nullo o assente.

Detto ciò, ci sono comunque delle situazioni maggiormente a rischio, ovvero:

  • Costruzioni situate in regioni ad alto rischio per la natura geomorfologica del terreno;
  • Edifici costruiti su terreni ricchi di tufo, pietre di origine vulcanica, o in aree limitrofe a vulcani attivi o spenti;
  • Edifici costruiti utilizzando tufo, pietre laviche o cementi pozzolanici;
  • Locali interrati, seminterrati o situati ai piani bassi degli edifici e non attrezzati con idonei impianti di ricambio dell’aria a livello del pavimento;
  • Edifici costruiti su fondamenta prive di vespaio areato.
Immagine dell’ISPESL

Fondamentale è fare in modo che per le nuove costruzioni si adottino criteri anti-radon, come sigillare le possibili vie di ingresso dal suolo, predisporre un vespaio di adeguate caratteristiche cui poter facilmente applicare, se necessario, una piccola pompa aspirante ecc.

Come si misura?

La grandezza che viene presa come riferimento per valutare l’entità del fenomeno è la concentrazione di radon gas (o Radon 222) in aria. Viene espressa in Bq/m3 (Becquerel per metro cubo), ossia il numero di trasformazioni nucleari che ogni secondo sono emesse in un metro cubo di aria.

La misura si effettua con diverse tecniche: il metodo più diffuso ed economico è quello dei dosimetri degli addetti ai reparti di radiologia dei laboratori di analisi cliniche.

Qual è la normativa di riferimento?

Il D.L. 31 luglio 2020, n. 101, pubblicato in GU il Dlgs 31 luglio 2020 n° 101, ed entrato in vigore il 27 Agosto 2020, recepisce la Direttiva 2013/59/Euratom e riordina la normativa relativa alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

Il consiglio è sempre quello di valutare tutti i rischi possibili ed immaginabili, visibili e non visibili, perché un’attenta e minuziosa valutazione del rischio porta sicuramente ottimi risultati a lungo termine.


Lo Staff di direzionesicura

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Chi è l’R.L.S.

Articolo in evidenza

Oggi vedremo chi è e cosa fa una delle figure più importanti della Sicurezza Aziendale, ovvero il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza.

Anello di congiunzione tra lavoratori e datore di lavoro, collaboratore prezioso del Rspp, il RLS viene menzionato in diversi articoli del D.L. 81/2008 tra cui gli art. 37, 47, 48, 49 e 50. Analizzando quindi gli articoli appena citati, vedremo come il legislatore norma questa importante figura partendo dal tipo di formazione che dovrà ricevere agli obblighi ed i compiti che dovrà svolgere all’interno della organizzazione aziendale.

La Formazione

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza, concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi:

a) principi giuridici comunitari e nazionali;

b) legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

c) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;

d) definizione e individuazione dei fattori di rischio;

e) valutazione dei rischi;

f) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione;

g) aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori;

h) nozioni di tecnica della comunicazione.

immagine da pixabay

Si precisa inoltre che la durata minima dei corsi è di 32 ore (di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate) con verifica di apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.

I Compiti

Vediamo adesso quali sono i compiti del RLS individuati dall’articolo 50 del D.lgs. 81/2008:

a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;

b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nella azienda o unità produttiva;

c) è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;

d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37;

e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed alle miscele pericolose, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali;

f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;

g) riceve una formazione adeguata e comunque non inferiore a quella prevista dall’articolo 37;

h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;

i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali è di norma sentito;

l) partecipa alla riunione periodica di cui all’articolo 35;

m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;

n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;

o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.

Inoltre chi svolge la funzione di RLS non può svolgere quella di RSPP o ASPP come previsto dalla normativa vigente.

Come è istituito?

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è istituito a livello territoriale, aziendale o di sito produttivo. Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è di norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno oppure è individuato per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo. Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno. Il numero, le modalità di designazione o di elezione, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni, sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva. L’elezione avviene di norma in corrispondenza della giornata nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro, individuata nell’ambito della settimana europea per la sicurezza sul lavoro, con decreto del Ministro del lavoro della salute e delle politiche sociali, sentite le confederazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

fonte web

Quanti devono essere in azienda?

Il numero minimo dei rappresentanti è il seguente:

a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 lavoratori;

b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori;

c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori.

In tali aziende il numero dei rappresentanti è aumentato nella misura individuata dagli accordi interconfederali o dalla contrattazione collettiva. Qualora non si proceda alle elezioni, le funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono esercitate dai rappresentanti per lavoratori per la sicurezza territoriale o di sito produttivo, salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Il RLS territoriale

A similitudine del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva secondo un percorso formativo di almeno 64 ore iniziali, da effettuarsi entro 3 mesi dalla data di elezione o designazione e 8 ore di aggiornamento annuale, inoltre l’esercizio delle funzioni è incompatibile con l’esercizio di altre funzioni sindacali operative.

Il RLS di sito produttivo

I RRLLSS di sito produttivo sono individuati nei seguenti specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri:

a) i porti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere b), c) e d), della Legge 28 gennaio 1994, n. 84(N) , sedi di autorità portuale nonché quelli sede di autorità marittima da individuare con decreto dei Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali e dei trasporti, da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto;

b) centri intermodali di trasporto di cui alla Direttiva del Ministro dei trasporti del 18 ottobre 2006, n. 3858;

c) impianti siderurgici;

d) cantieri con almeno 30.000 uomini-giorno, intesa quale entità presunta dei cantieri, rappresentata dalla somma delle giornate lavorative prestate dai lavoratori, anche autonomi, previste per la realizzazione di tutte le opere;

e) contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti nell’area superiore a 500.

Nei contesti specifici sopra citati il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo è individuato tra gli RRLLSS delle aziende operanti nel sito stesso.

Lo Staff di direzionesicura

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I VIDEOTERMINALI SECONDO IL D.LGS 81/08

Articolo in evidenza

Oggi vediamo cosa sono i videoterminali secondo la normativa vigente in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, chi sono i video terminalisti e quali forme di prevenzione dovrà mettere in campo il Datore di Lavoro per tutelare i lavoratori.

fonte web

Per chiarire il discorso, è fondamentale riportare fedelmente gli articoli trattati al Titolo VII del Testo Unico – Attrezzature munite di Videoterminali.

Cosa sono i videoterminali?

All’articolo 173 del T.U. sono riportate le definizioni utili per poter comprendere a chi sono rivolte le norme che tratteremo. Entriamo nel merito:

…“a) videoterminale: uno schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato;

b) posto di lavoro: l’insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, incluso il mouse, il software per l’interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l’unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l’ambiente di lavoro immediatamente circostante;

c) lavoratore: il lavoratore che utilizza un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni di cui all’articolo 175.”…

Già da una prima occhiata si evince chiaramente che non basta sedere davanti ad un monitor per essere definiti video terminalisti, lo stesso vale per tablet, smartphone e tutti gli attuali strumenti che spesso (vista l’attuale situazione di emergenza sanitaria) utilizziamo in quello che definiamo tele-lavoro o nello smartworking; bensì sono molte le caratteristiche da rispettare, dal software di interfaccia al piano di lavoro, e ancora di più le precauzioni che i datori di lavoro dovranno prendere per mettere il proprio lavoratore in condizione di lavorare in sicurezza.

All’articolo 174 infatti, proseguendo nella lettura, si trattano gli obblighi del d.l.

Quali obblighi ha il datore di lavoro nei confronti dei video terminalisti?

L’art. 174 cita che il D.L. dovrà valutare i rischi (come da art.28) connessi all’attività specifica con particolare riguardo:

ai rischi per la vista e per gli occhi;

ai problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico e mentale;

alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.

Il dl dovrà inoltre, secondo il comma 2, adottare le misure appropriate per ovviare ai rischi, tenendo conto della somma ovvero della combinazione della incidenza dei rischi riscontrati.

Infine (comma 3) organizza e predispone i posti di lavoro di cui all’articolo 173, in conformità ai requisiti minimi di cui all’ALLEGATO XXXIV, che si occupa di normare la postazione lavorativa che dovrà essere messa a disposizione del lavoratore, dettandone tutti i dettagli su ambiente e attrezzature, come misura di prevenzione.

fonte web

Come deve essere svolto il lavoro da video terminalista? (art. 175)

Il lavoratore riconosciuto video terminalista ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività, e le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale.

In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l’interruzione, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici minuti ogni due ore di applicazione continuativa al videoterminale.

Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità. In ogni caso le pause non sono cumulabili.

Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro.

La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.

All’interno dell’articolo 175 è chiaro che la pausa potrà essere svolta anche sotto forma di un cambio di mansione consono a consentire il recupero psico-fisico dalle due ore di videoterminale e che le pause non sono in nessun caso cumulabili dall’inizio alla fine della giornata lavorativa.

E la sorveglianza sanitaria? (art.176)

Un ruolo chiave sull’argomento lo riveste la sorveglianza sanitaria che all’art 176 riporta la necessità di sottoporre a visita i lavoratori video terminalisti, per i rischi connessi alla vista e all’apparato muscolo scheletrico. La periodicità delle visite di controllo è biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni e per i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età; quinquennale negli altri casi, salvo diverse prescrizioni del medico competente.

Il lavoratore è sottoposto a visita di controllo a sua richiesta, secondo le modalità previste all’articolo 41.

fonte web

Il datore di lavoro fornisce a sue spese ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell’attività svolta, quando l’esito delle visite ne evidenzi la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione.

L’ informazione (art.177)

…“In ottemperanza a quanto previsto in via generale dall’articolo 18, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:

– le misure applicabili al posto di lavoro, in base all’analisi dello stesso di cui all’articolo 174;

– le modalità di svolgimento dell’attività;

– la protezione degli occhi e della vista;

– assicura ai lavoratori una formazione adeguata.”

Sono previste come sempre sanzioni a carico del DL e dei Dirigenti che commettono una o più violazioni dei predetti articoli di legge.

…..Concludendo…..

L’inquadramento del video terminalista ad oggi non è semplice come sembra, soprattutto in quest’anno in cui abbiamo “scoperto” il lavoro smart effettuato direttamente da casa, dove risulta difficile distinguere i casi, ma di questo se ne parla nella normativa riguardante il lavoro agile che è altrettanto ampia ed in continua evoluzione, ora più che mai.

Lo Staff di direzionesicura

Isolamento o quarantena?

Articolo in evidenza

In questo particolare momento storico, lo staff di direzionesicura, vuole contribuire nell’approfondire e diffondere le indicazioni della circolare ministeriale n.32850 del 12/10/2020 del Ministero della Salute, ed in particolare sulla differenza tra ISOLAMENTO e QUARANTENA.

fonte web

Vediamo subito le definizioni:

ISOLAMENTO: Consiste nel separare le persone, con documentata infezione da SARS-CoV-2, dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione.

QUARANTENA: Consiste alla restrizione dei movimenti di persone sane, per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi.(Può essere disposta solamente dall’ASL)

All’interno della circolare ministeriale sono anche state rivalutate le indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena. Nello specifico è stato precisato che:

Casi positivi asintomatici

Le persone asintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2 possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test).

Casi positivi sintomatici

Le persone sintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo), accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test).

Casi positivi a lungo termine (che non si negativizzano dopo 21 gg.)

Le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione), da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).

Contatti stretti asintomatici

I contatti stretti di casi con infezione da SARS-CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie, devono osservare:

  • un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso;
    • oppure
  • un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test negativo, antigenico o molecolare, effettuato il decimo giorno.

Seguendo quindi le indicazioni della circolare ministeriale del Ministero della Salute n.32850 del 12-10-2020 possiamo sintetizzare che:

fonte web

Se sono un CONTATTO del CONTATTO (ho avuto un contatto stretto con una persona che ha avuto contatto stretto con un positivo) non dovrò fare nulla a meno che la persona con cui ho avuto contatto non diventi, durante la sua quarantena, un positivo.

Se resto un CONTATTO ASINTOMATICO faccio la quarantena per 14 giorni. Se voglio uscire prima posso fare un tampone dal 10 giorno in poi (ho quindi dato il tempo all’eventuale contagio di palesarsi). Se ho un regolare contatto con persone a rischio, faccio sempre e comunque un tampone a fine quarantena.

Se invece divento un CONTATTO SINTOMATICO?

Faccio un tampone che, se negativo, mi rende libero (fermo restando la guarigione dai sintomi per ridurre la trasmissione anche di altre malattie, in quanto non esiste solo il Covid!)

Se il tampone è positivo, non sono più un “CONTATTO” ma divento un CASO.

Se resto un CASO ASINTOMATICO, rientro in comunità dopo un tampone negativo fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento.

Se divento un CASO SINTOMATICO, rientro in comunità dopo un tampone negativo, fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento ed almeno 3 giorni senza sintomi (tali 3 giorni possono essere inclusi nei 10 oppure successivi: la cosa può variare da caso a caso in base a quando si guarisca dai sintomi).

Se permango un CASO POSITIVO DI LUNGO TERMINE (ovvero uno di quei casi che pur guarendo da tutti i sintomi ad eccezione per alterazioni di gusto e olfatto che spesso persistono per molte settimane continuino ad avere tampone positivo), rientro in comunità dopo 21 giorni di isolamento, laddove autorizzato dalle autorità sanitarie in relazione al caso specifico: alcuni casi, come ad esempio gli immunodepressi, possono infatti restare molto contagiosi in modo prolungato e non saranno autorizzati.

fonte web

Alla fine di tutte queste definizioni avrete mal di testa e di conseguenza sentirete un brivido lungo la schiena per la paura di aver contratto il Covid…ma state tranquilli, seguendo le indicazioni date dal ministero e dagli organi competenti e soprattutto INDOSSANDO LA MASCHERINA, ne verremo fuori (speriamo presto)

Lo Staff di direzionesicura

Le Procedure

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In una organizzazione aziendale è bene avere sempre, oltre ad uno staff che ha ben chiari i compiti e gli obblighi da assolvere, delle direttive standardizzate per ogni singola mansione svolta.

Queste direttive, che possono essere elaborate dal Datore di lavoro o dal Dirigente (coadiuvati dal Preposto della specifica mansione), danno origine alle cosiddette procedure operative.

immagine dal web

Quindi una procedura non è altro che una raccolta di successioni logiche e consequenziali di atti tecnico-operativi di una determinata articolazione di lavoro, che si può anche definire come “protocollo”, per lo svolgimento di una data operazione.

Lo scopo delle procedure è quello di rendere lo svolgimento di una particolare attività lavorativa il più sistematico e logico possibile, tenuto conto anche della verificabilità delle azioni svolte, in modo particolare per le attività più complesse e per quelle lavorazioni che richiedono una maggiore attenzione ai dettagli.

All’interno delle procedure, oltre a trovare descritto chi deve fare cosa, vengono anche indicati i possibili pericoli a cui si può essere esposti e le relative prescrizioni, dpi e/o dpc da utilizzare.

Inoltre, dopo la redazione della procedura, è previsto un iter di approvazione e di verifica dell’applicabilità del contenuto; una volta superati i vari step di verifica, la procedura viene approvata e “standardizzata” per quel ciclo specifico di riferimento.

immagine dal web

Gli elementi fondamentali che compongono una procedura sono:

  • Titolo;
  • Scopo e applicabilità del documento;
  • Simboli, termini e definizioni;
  • Contesto applicativo;
  • Modalità di esecuzione (dove vengono descritte anche le misure di sicurezza);
  • Allegati (a supporto della lavorazione).

Insomma, con delle buone procedure non si lascia nulla al caso.

Più i processi vengono standardizzati e più si tende ad avere le idee chiare di cosa si fa ed è provato infatti, che “addestrandosi” quotidianamente alla procedura, si abbattono notevolmente i rischi di infortunio.

Cari datori di lavoro, prestate attenzione alle procedure cercando di concepirle come ausilio e strumento indispensabile al ciclo produttivo, e non come un obbligo dettato dall’avvento del terzo millennio.

Lo Staff di direzionesicura

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Ne vale sempre la pena?

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Oggi tocchiamo un argomento molto delicato e che siamo sicuri abbia fatto perdere (almeno una volta) le staffe, la voglia e la motivazione a più di qualche soggetto che, come noi, si occupa di cercare di migliorare la Sicurezza negli ambienti di lavoro:

la celeberrima espressione “Si è sempre fatto così!”

Quello che più ci irrita non è l’espressione propria, quanto il significato di rinnegazione verso una modifica o cambiamento, che si racchiude all’interno del pensiero dell’elemento che la cita con una serenità da premio Oscar, inconsapevole dei danni che comporta quel suo atteggiamento scivoloso e non curante dell’evoluzione continua del mondo del lavoro e dei rapporti sociali.

fonte web

Da qui il titolo di questo articolo, ne vale sempre la pena? Quando ci si trova a dover combattere con la mentalità ottusa e l’ostruzionismo coatto nei confronti del cambiamento ne vale ancora la pena?

Noi personalmente “abbiamo mangiato tanto pane duro” in merito e chissà quanto ancora ne dovremo mangiare, abbiamo avuto momenti di sconforto, momenti in cui l’unica via d’uscita sembrava quella di abbandonare tutto e gettare la spugna perché come si sa, l’ignoranza voluta non si combatte con i tradizionali mezzi però, in virtù dei risultati alla lunga delle continue lotte in corso, di quelle passate e di quelle che sicuramente verranno domani possiamo dirvi a testa alta che SI’! NE VALE SEMPRE LA PENA!

Qualcosa si muove quando si insiste, per le lunghe, ma si muove.

NE VALE LA PENA resistere e continuare sulla via più tortuosa che è quella del non arrendersi ai primi ostacoli e neanche ai secondi ed ai terzi, perché le soddisfazioni di questo mestiere sono tante e molteplici; nessuno magari vi dirà mai “bravo” o “grazie” però, in sordina, quando leggete i report degli infortuni e degli incidenti ed il numero è insignificante o contenuto, quando è tappezzata l’azienda di cartellonistica e brochure informative, quando l’esercitazione a sorpresa di evacuazione produce i risultati aspettati, quando il lavoratore utilizza i D.P.I., quando il preposto è vigile, quando gli RR.LL.SS. vi danno i giusti feedback, ecc….bè….è anche (se non soprattutto) merito vostro.

Il nostro lavoro è per il 60% comunicazione ed è per questo che ci sconfortiamo quando l’interlocutore, che sia un lavoratore o il Datore di Lavoro stesso, non ci ascolta o ci ascolta prevenuto e con sufficienza.

Il nostro impegno deve essere costante nel migliorarci e nel capire il giusto canale per rendere efficiente il messaggio che vogliamo comunicare, adattando spesso il mezzo comunicativo all’interlocutore che abbiamo difronte, poiché non tutti percepiscono le informazioni allo stesso modo.

Nei momenti NO ricordatevi dell’importanza di questo mestiere e del fatto che diffondere la cultura della Sicurezza è fondamentale nella nostra società ancora troppo restia. Il nostro è un ruolo chiave, siate pazienti e le soddisfazioni arriveranno.

Concludiamo con due delle leggi di vita non scritte che a noi piacciono tantissimo:

ricordate che i cavalli buoni si vedono a lunga corsa ed anche che con la chiave giusta, si aprono tutte le porte!

Cercate la vostra chiave.

Lo Staff di direzionesicura

Il D.U.V.R.I.

Articolo in evidenza

Il Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali è un documento che spesso viene sottovalutato e che invece riveste un ruolo chiave nell’organizzazione della sicurezza intorno ad una determinata lavorazione. Vediamo molto sinteticamente di cosa si tratta.

Frontespizio di un d.u.v.r.i.
Frontespizio di un d.u.v.r.i.

Cosa sono i rischi da interferenze

In ambito aziendale e nella disciplina della sicurezza sul lavoro i rischi derivanti da interferenze sono quei rischi che potrebbero verificarsi quando due o più realtà, che svolgono differenti prestazioni o opere, si trovano a svolgere la propria attività lavorativa nella stesso luogo di lavoro (contestualmente o meno).

L’importanza del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze

Chiarito cosa sono i rischi da interferenze l ’articolo 26 del Decreto Legislativo 81/2008 stabilisce che il datore di lavoro committente redige il D.U.V.R.I. (e NON le imprese o lavoratori autonomi affidatari del contratto d’appalto) in quanto il D.L. committente ha la disponibilità giuridica del luogo dove si svolgerà l’appalto e di conseguenza l’obbligo di valutare i rischi presenti e redigere il documento con lo scopo di abbatterli o ridurli al minimo.

Quando non è obbligatorio il D.U.V.R.I.

I soli casi in cui il DUVRI non va prodotto, come stabilito dal comma 3 bis dell’art. 26 del D.lgs. 81/08 sono i seguenti:

1. ai servizi di natura intellettuale;

2. alle mere forniture di materiali o attrezzature;

3. ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini/giorno*, sempre che essi non comportino rischi derivanti dal rischio di incendio di livello elevato, ai sensi del decreto del Ministro dell’interno 10 marzo 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 64 alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, o dallo svolgimento di attività in ambienti confinati, di cui al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177, o dalla presenza di agenti cancerogeni, mutageni o biologici, di amianto o di atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’allegato XI del presente decreto.

*Per uomini/giorno si intende l’entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture.

Prestate attenzione quando valutate i rischi da interferenze perché come detto e ridetto, un’attenta e accurata valutazione è la #direzionesicura per iniziare come si deve un appalto.

Lo Staff di direzionesicura

Rischio, Pericolo e Danno

Articolo in evidenza

La valutazione di tutti i rischi è uno dei due obblighi non delegabili dal datore di lavoro, come sancito dall’articolo 17 del Testo Unico, allo stesso tempo “rischio” è una parola che si ripete quasi mille volte all’interno del D.Lgs. 81|08, diventando un cardine di questa materia che si basa appunto sull’obbiettivo di abbattere i rischi connessi ai processi lavorativi…quindi vediamo cos’è il rischio e cosa sono il pericolo ed il danno.

fonte immagine: internet

Il rischio

Il rischio nel nostro campo è definito come la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di un danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure la loro combinazione (art.2 lettera s, D.Lgs. 81/08)

Quindi cos’è il rischio?

E’ la probabilità che accada un certo evento capace di causare danni alle persone. Il concetto di rischio è legato all’esistenza di una fonte di pericolo e alla possibilità che si trasformi in un danno per qualcuno.

Risulta chiaro che non esiste rischio se non abbiamo pericolo…

Il pericolo

Questa volta alla lettera r del solito art.2 del T.U. troviamo che il pericolo è definito come la proprietà intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare un danno.

In soldoni, il Pericolo è la capacità non legata a fattori esterni, che una determinata situazione, un determinato luogo o un determinato strumento o oggetto ha di causare un danno alle persone.

E il danno?

Il danno è definito come una lesione fisica o un danno alla salute (UNI ENI ISO 12100) o qualunque conseguenza negativa derivante dal verificarsi di un evento (UNI 11230).

Capire come approcciarsi alla valutazione dei rischi è fondamentale in questo campo…un’ottima valutazione è un buon inizio ed è sicuramente la #direzionesicura da seguire.

Lo Staff di direzionesicura

I “ferri” di tutti i mestieri

Articolo in evidenza
D.P.I. Dispositivi di Protezione Individuale

Ogni lavoro ha i propri “ferri del mestiere” ed i D.P.I. dovrebbero essere la seconda pelle di ogni lavoratore. Spesso scomodi, larghi o stretti, a scapito della sensibilità nelle lavorazioni più delicate e di precisione, sono l’ultimo scudo che ci preserva dagli infortuni. Quando con la prevenzione non si abbattono i rischi di una determinata lavorazione, indossandoli correttamente non facciamo un favore a nessuno se non a noi stessi, preservando la nostra salute. Indossare i Dispositivi di Protezione Individuale è la #direzionesicura da seguire oltre che un obbligo, infatti il lavoratore deve utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione individuale messi a sua disposizione e segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi (art.78 T.U.) nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui venga a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Secondo lo stesso articolo, i D.P.I. non devono mai essere modificati.

I REQUISITI DEI D.P.I.

I requisiti che devono rispettare i D.P.I. sono sanciti dall’articolo 76 del Testo Unico.

Essi devono: essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore; essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro; tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore; poter essere adattati all’utilizzatore secondo le proprie necessità.

In caso di rischi multipli che richiedono l’uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti.

CATEGORIE DI D.P.I.

I Dispositivi di Protezione Individuale si suddividono in tre categorie:

I DPI di I categoria sono destinati a salvaguardare la persona da rischi di danni fisici di lieve entità ed il cui effetto non causa lesioni irreversibili;

I DPI di II categoria sono utili a proteggere dai rischi medi e che non rientrano né alla I né alla III Categoria;

I DPI di III categoria salvaguardano da rischi di morte o lesioni gravi e di carattere permanente.

…….E ancora molto altro……

Ci sarebbero pagine di indicazioni e norme da scrivere ma a noi basta far passare il messaggio che si DEVONO usare i D.P.I. non tanto perché obbligo lavorativo, quanto obbligo verso se stessi e chi ci lavora intorno.

https://www.direzionesicura.it

L’evoluzione normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro in Italia

Vi siete mai chiesti da quanto tempo esiste la normativa inerente alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro in Italia?

Le prime normative risalgono agli anni ’50 con i DPR 547/55 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” e DPR 303/56 “Norme generali per l’igiene sul lavoro”.

La Prevenzione era basata su direttive per:

  • per ogni pericolo una misura di prevenzione;
  • difficoltà ad adeguarsi al progresso tecnologico;
  • logica ‘oggettiva’ della sicurezza, basata solo sui requisiti tecnici di macchine, impianti, edifici;
  • scarsa valorizzazione degli aspetti organizzativi e gestionali;
  • accentramento di tutti gli obblighi di prevenzione sul datore di lavoro, senza prevedere uno staff a suo sostegno.

Si ricorda inoltre lo Statuto dei Lavoratori ( Legge 300/70) con le “norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale, dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e sul collocamento”, dove all’articolo 9 si indicava che “i lavoratori, mediante le loro rappresentanze, hanno il diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro integrità fisica”.

Si ricorda poi della Riforma Sanitaria (Legge 833/78), dell’Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (Unità Sanitarie Locali, Attività di prevenzione, Organizzazione dei servizi di prevenzione, Norme in materia di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro e di vita e di omologazioni, …) e della successiva normativa di derivazione comunitaria, ad esempio:

  • D.Lgs. 277/91: Protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione a piombo, amianto, rumore;
  • D.Lgs. 626/94: Miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro;
  • D.Lgs. 459/96: Caratteristiche di sicurezza delle macchine;
  • D.Lgs. 494/96: Sicurezza nei cantieri temporanei o mobili;
  • D.Lgs. 230/95 e D.Lgs. 257/01: Radioprotezione dei lavoratori e della popolazione.
Fonte:pixabay

E’ doveroso approfondire alcune peculiarità del D.Lgs. 626/94 e delle nuove direttive CEE, che hanno introdotto:

  • Prevenzione basata su procedure (valutazione dei rischi e programmazione delle misure di tutela);
  • Valorizzazione della prevenzione soggettiva, basata sulla responsabilizzazione personale dei soggetti coinvolti (datore di lavoro, lavoratore);
  • Organizzazione del sistema di sicurezza basato su più soggetti aziendali (RSPP, RLS, Addetti alle misure di emergenza, coordinatori per la progettazione ed esecuzione lavori edili, …);
  • Gestione della sicurezza aziendale come parte integrante del sistema produttivo;
  • Riconoscimento delle situazioni di rischio derivanti dal rapporto uomo-macchine/ambiente/sostanze pericolose.

Ma come si è arrivati alla cosiddetta “bibbia” dei Datori di lavoro e consulenti sulla sicurezza ovvero al Decreto Legislativo 81/2008 e perché ?

Incidente Thyssen Krupp di Torino Fonte Web

Sicuramente in relazione e alle attività di monitoraggio sull’applicazione del decreto 626/94 e anche dopo il gravissimo incidente alla ThyssenKrupp di Torino fra il 5 e il 6 dicembre 2007.

Il 9 aprile del 2008 in attuazione dell’articolo 1 della legge del 3 agosto 2007 è stato pubblicato il il cosiddetto Testo Unico sulla Sicurezza.

Il testo unico ha accorpato tutte le normative precedenti in termini di sicurezza sul lavoro e indica ciò che è necessario fare per essere in regola dal punto di vista della prevenzione degli infortuni e della tutela della salute fisica e mentale negli ambienti di lavoro.

Il testo contiene anche le indicazioni riguardo alla valutazione dei rischi sanitari, il primo soccorso e antincendio e si rivolge ai datori di lavoro e lavoratori, concentrandosi su responsabilità, prassi e comportamenti da adottare.

Il testo riguarda tutte le aziende in cui sia presente almeno un lavoratore dipendente o un soggetto equiparato, quindi tutte le imprese con lavoratori subordinati, le società senza dipendenti ma con un socio che lavora in azienda e le imprese familiari.

Il Testo Unico sulla Sicurezza fa riferimento anche ad altre norme, come l’articolo 2050 del codice civile, che parla della responsabilità per l’esercizio delle attività pericolose, o dell’articolo 2087, che impone all’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

Il Decreto legislativo n. 81 è formato da 13 Titoli

Fonte: D.lgs. 81/2008

Il decreto legislativo 81/08 prevede diversi adempimenti obbligatori, come redigere il documento di valutazione dei rischi, formare e nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendali, formare i lavoratori al primo soccorso e prevenzione incendi e designare un medico competente per effettuare la sorveglianza sanitaria.

Molte novità introdotte con il decreto legislativo 81/2008 riguardano il campo di applicazione e le tipologie di lavoratore:

  • “Lavoratore subordinato con o senza retribuzione;
  • Soggetto che svolge un’attività nell’ambito dell’organizzazione del DdL;
  • Socio lavoratore di società o cooperative anche di fatto che presti la propria opera per conto dell’ente stesso;
  • Associato in partecipazione il cui apporto consiste in prestazioni d’opera nell’ambito della organizzazione stessa;
  • Beneficiario di tirocini formativi e di orientamento professionale o di alternanza studio-lavoro;
  • Studente di ogni ordine e grado o il partecipante a corsi di formazione ove si faccia uso di laboratori, agenti chimici, fisici o biologici e attrezzature in genere compreso i VDT;
  • Volontari delle varie associazioni compresi quelli dei Vigili del Fuoco o della Protezione Civile;
  • Lavoratori socialmente utili;
  • Lavoratori autonomi (si applicano solo gli art. 21 e 26);
  • Componenti dell’impresa familiare (si applica l’articolo 21)”.

Altre novità riguardano il regolamento per le attribuzioni dei poteri, dei doveri e delle responsabilità all’interno di strutture complesse, con la specifica descrizione delle figure della sicurezza e la possibilità del datore di attuare la “delega di funzioni”.

La normativa è in costante aggiornamento e per fortuna è molto dinamica. Può risultare difficile stare al passo con le novità ma questo fa parte del nostro lavoro. Non bisogna mai dare nulla per scontato ed è necessario aggiornarsi in continuazione, in primis per poter essere in linea con il mondo del lavoro che, per fortuna, si evolve anche in termini di sicurezza ed in secondo luogo, perché aggiornarsi è un obbligo se si vuole operare in questo ambito.

Il Responsabile Rischio Amianto

Oggi ci troviamo a trattare un argomento ancora purtroppo di attualità, ovvero la presenza di manufatti contenenti amianto (MCA).

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Cosa è l’amianto?

Facciamo una piccola premessa inerente l’amianto, materiale estremamente duttile utilizzato in moltissimi settori durante l’era industriale, che sconvolse totalmente il settore, in quanto incombustibile, resiste alla corrosione ed ottimo isolante con un costo estremamente basso.

L’amianto è dunque un minerale dalla struttura microcristallina composto da silicato di magnesio, calcio e ferro che veniva estratto dalle cave, la sua composizione vista al microscopio è in materia fibrosa. Il materiale, che si presenta sotto forma di fibre, può essere anche unito al cemento per creare una matrice cementizia, usata come copertura da utilizzare nell’edilizia. La forma più pericolosa è quella friabile utilizzata come isolante di controsoffitti e pareti.

I primi studi…

I Medici nei primi del Novecento cominciarono a notare che i lavoratori delle cave di amianto morivano di affezioni respiratorie. Iniziò così uno studio che diede evidenza che i piccoli cristalli aghiformi di molte varietà di amianto potevano penetrare in profondità nei polmoni e rimanerci, causando e manifestando la malattia anche decenni più tardi.

Le malattie causate dall’amianto sono: Asbestosi, Tumore polmonare e Mesotelioma. In considerazione dunque dell’evidenza della sua pericolosità, l’amianto è stato considerato un agente cancerogeno e per questo con il Decreto Legge n° 257 del 1992 in Italia ne è stata vietata la produzione e l’installazione.

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Gli obblighi del Datore di Lavoro sui MCA

In Italia, anche se i riferimenti normativi risalgono al 1992, ancora è purtroppo presente una cospicua percentuale di fabbricati (coperture) e manufatti contenti amianto.

Qualora un Datore di Lavoro, nella propria azienda, dopo aver effettuato la valutazione del rischio tramite ditte specializzate e avere chiaro la tipologia di MCA presente (se compatto o friabile con le relative prescrizioni rilasciate dalla ditta specializzata), dovrà nominare di un Responsabile Rischio Amianto – RRA.

La nomina del RRA è obbligatoria da parte del DdL qualora si riscontri presenza di MCA in un immobile, ed è disciplinata dal D.M. 6 settembre 1994 al punto 4 “Programma di controllo dei materiali in amianto in sede”.

Il Datore di lavoro una volta nominato il RRA dovrà provvedere a:

  • Redigere un piano di controllo e manutenzione per tutte le attività in cui sono coinvolti potenzialmente i MCA;
  • Informare i lavoratori che occupano quei locali della situazione rilevata;
  • Monitorare i MCA rilevati e quelli soggetti a frequenti manutenzioni;
  • Verificare periodicamente lo stato di conservazione dei MCA e effettuare monitoraggi ambientali e dell’aria all’interno dei locali.
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Cosa fa un RRA?

Il RRA, come indicato dalla normativa, deve coordinare le attività di manutenzione che possono riguardare i MCA e dare supporto al Datore di Lavoro sulle attività che rimangano in capo a quest’ultimo, ovvero:

  • Segnalazione dei materiali;
  • Informative;
  • Censimenti.

La normativa

I riferimenti normativi sono i seguenti:

  • Legge 27 marzo 1992 n.257;
  • D.M. 6 settembre 1994;
  • D.lgs. 17 marzo 1995 n.114
  • Legge 9 dicembre 1998 n.426
  • D.M. 20 agosto 1999 integrazione alla legge 27 marzo 1992 inerente gli interventi di bonifica;
  • D.M. 25 ottobre 1999 n.471;
  • D.M. 18 settembre 2001 n.468;
  • Legge n.179 2002;
  • Legge 13 gennaio n.36;
  • D.M. 18 marzo 2003 n.101;
  • Decreto 29 luglio 2004 n.248;
  • D.M. 3 agosto 2005;
  • D.lgs n.257 del 25 luglio 2006;
  • D.lgs. 9 aprile 2008.

Lo Staff di direzionesicura

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