...perchè la sicurezza è cosa di tutti...

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Il Rischio RADON

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Oggi trattiamo un argomento spesso sottovalutato perché ancora poco conosciuto a molti, anche operanti nel nostro settore: il rischio Radon.

fonte web

Cosa è il Radon?

Il Radon è un gas radioattivo appartenente alla classe dei “gas nobili” prodotto dal decadimento radioattivo del Thorio e dell’Uranio 235-. Emette radiazioni ionizzanti, è incolore ed estremamente volatile, inodore, non reagisce con altri elementi chimici. E’ il più pesante dei gas conosciuti (densità 9.72 g/l a 0°C, 8 volte più denso dell’aria).

Come si propaga?

Il meccanismo principale che trasporta il gas dal suolo agli ambienti di vita chiusi è la differenza di pressione tra l’interno (in genere in depressione) e l’esterno dell’edificio, attraverso le fessurazioni, le aperture e le discontinuità (anche microscopiche) nelle strutture dell’edificio.

come il Radon entra in casa nostra

Il radon, essendo più pesante dell’aria, tenderà ad accumularsi all’interno degli ambienti chiusi o comunque scarsamente ventilati. E’ un inquinante tipicamente indoor “naturale”.

La sua pericolosità è però aumentata a causa dei moderni stili di vita e delle tecniche edilizie basate sul risparmio energetico e sul ridotto ricambio d’aria.

Quali sono i luoghi maggiormente a rischio?

immagine dal sito del ISS

I luoghi di lavoro adibiti ad uso o stoccaggio di materiali non radioattivi
ma contenenti elementi radioattivi naturali, ad esempio, aziende adibite
alla lavorazione di sabbie zirconifere, di terre rare, industrie di ceramiche,
produzione di materiali refrattari, etc.; luoghi di lavoro connessi con
attività estrattive o stabilimenti termali.

Anche i materiali per l’edilizia emettono diverse quantità di
radiazioni, a seconda della zona di provenienza. Alcuni materiali da costruzione (granito, tufo, porfido, basalto, cementi pozzolanici ecc.) contengono più radiazioni di altri.

…ed ancora…

Banche, Istituti di vigilanza, Musei, Caveau, locali di sicurezza, Gallerie, Cantieri, Sottovia, Locali commerciali;

Archivi di biblioteche, uffici, scuole, ospedali, immobili pubblici…

e altri luoghi di lavoro diversi da quelli precedentemente menzionati ma
situati in zone ad elevato rischio di contaminazione da Radon (individuate
dalle Regioni e dalle Province autonome).

Quali sono i danni per la salute?

Il Radon viene respirato insieme all’aria creando seri danni al sistema respiratorio. Nella fase di decadimento il Radon rilascia particelle alfa che possono provocare danni fisici e chimici al DNA delle cellule dell’epitelio polmonare.

Dal decadimento del Radon vengono poi a formarsi una serie di particelle solide radioattive che si accumulano nei polmoni sotto forma di elementi pesanti che continuano ad emettere radioattività e a danneggiare l’epitelio polmonare. L’accumulo dei danni al DNA può concretamente determinare l’insorgenza del cancro.

Considerato una delle maggiori cause di tumore al polmone dopo il tabacco, il Radon rappresenta un fattore di rischio rilevante per circa 1 milione di edifici in tutta Italia.
Sul territorio nazionale, si stima che più del 10% dei carcinomi polmonari sia imputabile al Radon.

Dove si necessita di una valutazione preventiva del Rischio Radon?

Come tutti i rischi, bisognerebbe valutarne sempre gli effetti anche latenti in qualsiasi ambiente di lavoro e di vita, in quanto è sempre molto difficile affermare che un rischio sia nullo o assente.

Detto ciò, ci sono comunque delle situazioni maggiormente a rischio, ovvero:

  • Costruzioni situate in regioni ad alto rischio per la natura geomorfologica del terreno;
  • Edifici costruiti su terreni ricchi di tufo, pietre di origine vulcanica, o in aree limitrofe a vulcani attivi o spenti;
  • Edifici costruiti utilizzando tufo, pietre laviche o cementi pozzolanici;
  • Locali interrati, seminterrati o situati ai piani bassi degli edifici e non attrezzati con idonei impianti di ricambio dell’aria a livello del pavimento;
  • Edifici costruiti su fondamenta prive di vespaio areato.
Immagine dell’ISPESL

Fondamentale è fare in modo che per le nuove costruzioni si adottino criteri anti-radon, come sigillare le possibili vie di ingresso dal suolo, predisporre un vespaio di adeguate caratteristiche cui poter facilmente applicare, se necessario, una piccola pompa aspirante ecc.

Come si misura?

La grandezza che viene presa come riferimento per valutare l’entità del fenomeno è la concentrazione di radon gas (o Radon 222) in aria. Viene espressa in Bq/m3 (Becquerel per metro cubo), ossia il numero di trasformazioni nucleari che ogni secondo sono emesse in un metro cubo di aria.

La misura si effettua con diverse tecniche: il metodo più diffuso ed economico è quello dei dosimetri degli addetti ai reparti di radiologia dei laboratori di analisi cliniche.

Qual è la normativa di riferimento?

Il D.L. 31 luglio 2020, n. 101, pubblicato in GU il Dlgs 31 luglio 2020 n° 101, ed entrato in vigore il 27 Agosto 2020, recepisce la Direttiva 2013/59/Euratom e riordina la normativa relativa alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

Il consiglio è sempre quello di valutare tutti i rischi possibili ed immaginabili, visibili e non visibili, perché un’attenta e minuziosa valutazione del rischio porta sicuramente ottimi risultati a lungo termine.


Lo Staff di direzionesicura

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Chi è l’R.L.S.

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Oggi vedremo chi è e cosa fa una delle figure più importanti della Sicurezza Aziendale, ovvero il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza.

Anello di congiunzione tra lavoratori e datore di lavoro, collaboratore prezioso del Rspp, il RLS viene menzionato in diversi articoli del D.L. 81/2008 tra cui gli art. 37, 47, 48, 49 e 50. Analizzando quindi gli articoli appena citati, vedremo come il legislatore norma questa importante figura partendo dal tipo di formazione che dovrà ricevere agli obblighi ed i compiti che dovrà svolgere all’interno della organizzazione aziendale.

La Formazione

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza, concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi:

a) principi giuridici comunitari e nazionali;

b) legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

c) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;

d) definizione e individuazione dei fattori di rischio;

e) valutazione dei rischi;

f) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione;

g) aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori;

h) nozioni di tecnica della comunicazione.

immagine da pixabay

Si precisa inoltre che la durata minima dei corsi è di 32 ore (di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate) con verifica di apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.

I Compiti

Vediamo adesso quali sono i compiti del RLS individuati dall’articolo 50 del D.lgs. 81/2008:

a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;

b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nella azienda o unità produttiva;

c) è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;

d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37;

e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed alle miscele pericolose, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali;

f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;

g) riceve una formazione adeguata e comunque non inferiore a quella prevista dall’articolo 37;

h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;

i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali è di norma sentito;

l) partecipa alla riunione periodica di cui all’articolo 35;

m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;

n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;

o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.

Inoltre chi svolge la funzione di RLS non può svolgere quella di RSPP o ASPP come previsto dalla normativa vigente.

Come è istituito?

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è istituito a livello territoriale, aziendale o di sito produttivo. Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è di norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno oppure è individuato per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo. Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno. Il numero, le modalità di designazione o di elezione, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni, sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva. L’elezione avviene di norma in corrispondenza della giornata nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro, individuata nell’ambito della settimana europea per la sicurezza sul lavoro, con decreto del Ministro del lavoro della salute e delle politiche sociali, sentite le confederazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

fonte web

Quanti devono essere in azienda?

Il numero minimo dei rappresentanti è il seguente:

a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 lavoratori;

b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori;

c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori.

In tali aziende il numero dei rappresentanti è aumentato nella misura individuata dagli accordi interconfederali o dalla contrattazione collettiva. Qualora non si proceda alle elezioni, le funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono esercitate dai rappresentanti per lavoratori per la sicurezza territoriale o di sito produttivo, salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Il RLS territoriale

A similitudine del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva secondo un percorso formativo di almeno 64 ore iniziali, da effettuarsi entro 3 mesi dalla data di elezione o designazione e 8 ore di aggiornamento annuale, inoltre l’esercizio delle funzioni è incompatibile con l’esercizio di altre funzioni sindacali operative.

Il RLS di sito produttivo

I RRLLSS di sito produttivo sono individuati nei seguenti specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri:

a) i porti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere b), c) e d), della Legge 28 gennaio 1994, n. 84(N) , sedi di autorità portuale nonché quelli sede di autorità marittima da individuare con decreto dei Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali e dei trasporti, da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto;

b) centri intermodali di trasporto di cui alla Direttiva del Ministro dei trasporti del 18 ottobre 2006, n. 3858;

c) impianti siderurgici;

d) cantieri con almeno 30.000 uomini-giorno, intesa quale entità presunta dei cantieri, rappresentata dalla somma delle giornate lavorative prestate dai lavoratori, anche autonomi, previste per la realizzazione di tutte le opere;

e) contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti nell’area superiore a 500.

Nei contesti specifici sopra citati il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo è individuato tra gli RRLLSS delle aziende operanti nel sito stesso.

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Il Responsabile Rischio Amianto

Oggi ci troviamo a trattare un argomento ancora purtroppo di attualità, ovvero la presenza di manufatti contenenti amianto (MCA).

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Cosa è l’amianto?

Facciamo una piccola premessa inerente l’amianto, materiale estremamente duttile utilizzato in moltissimi settori durante l’era industriale, che sconvolse totalmente il settore, in quanto incombustibile, resiste alla corrosione ed ottimo isolante con un costo estremamente basso.

L’amianto è dunque un minerale dalla struttura microcristallina composto da silicato di magnesio, calcio e ferro che veniva estratto dalle cave, la sua composizione vista al microscopio è in materia fibrosa. Il materiale, che si presenta sotto forma di fibre, può essere anche unito al cemento per creare una matrice cementizia, usata come copertura da utilizzare nell’edilizia. La forma più pericolosa è quella friabile utilizzata come isolante di controsoffitti e pareti.

I primi studi…

I Medici nei primi del Novecento cominciarono a notare che i lavoratori delle cave di amianto morivano di affezioni respiratorie. Iniziò così uno studio che diede evidenza che i piccoli cristalli aghiformi di molte varietà di amianto potevano penetrare in profondità nei polmoni e rimanerci, causando e manifestando la malattia anche decenni più tardi.

Le malattie causate dall’amianto sono: Asbestosi, Tumore polmonare e Mesotelioma. In considerazione dunque dell’evidenza della sua pericolosità, l’amianto è stato considerato un agente cancerogeno e per questo con il Decreto Legge n° 257 del 1992 in Italia ne è stata vietata la produzione e l’installazione.

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Gli obblighi del Datore di Lavoro sui MCA

In Italia, anche se i riferimenti normativi risalgono al 1992, ancora è purtroppo presente una cospicua percentuale di fabbricati (coperture) e manufatti contenti amianto.

Qualora un Datore di Lavoro, nella propria azienda, dopo aver effettuato la valutazione del rischio tramite ditte specializzate e avere chiaro la tipologia di MCA presente (se compatto o friabile con le relative prescrizioni rilasciate dalla ditta specializzata), dovrà nominare di un Responsabile Rischio Amianto – RRA.

La nomina del RRA è obbligatoria da parte del DdL qualora si riscontri presenza di MCA in un immobile, ed è disciplinata dal D.M. 6 settembre 1994 al punto 4 “Programma di controllo dei materiali in amianto in sede”.

Il Datore di lavoro una volta nominato il RRA dovrà provvedere a:

  • Redigere un piano di controllo e manutenzione per tutte le attività in cui sono coinvolti potenzialmente i MCA;
  • Informare i lavoratori che occupano quei locali della situazione rilevata;
  • Monitorare i MCA rilevati e quelli soggetti a frequenti manutenzioni;
  • Verificare periodicamente lo stato di conservazione dei MCA e effettuare monitoraggi ambientali e dell’aria all’interno dei locali.
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Cosa fa un RRA?

Il RRA, come indicato dalla normativa, deve coordinare le attività di manutenzione che possono riguardare i MCA e dare supporto al Datore di Lavoro sulle attività che rimangano in capo a quest’ultimo, ovvero:

  • Segnalazione dei materiali;
  • Informative;
  • Censimenti.

La normativa

I riferimenti normativi sono i seguenti:

  • Legge 27 marzo 1992 n.257;
  • D.M. 6 settembre 1994;
  • D.lgs. 17 marzo 1995 n.114
  • Legge 9 dicembre 1998 n.426
  • D.M. 20 agosto 1999 integrazione alla legge 27 marzo 1992 inerente gli interventi di bonifica;
  • D.M. 25 ottobre 1999 n.471;
  • D.M. 18 settembre 2001 n.468;
  • Legge n.179 2002;
  • Legge 13 gennaio n.36;
  • D.M. 18 marzo 2003 n.101;
  • Decreto 29 luglio 2004 n.248;
  • D.M. 3 agosto 2005;
  • D.lgs n.257 del 25 luglio 2006;
  • D.lgs. 9 aprile 2008.

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I VIDEOTERMINALI SECONDO IL D.LGS 81/08

Articolo in evidenza

Oggi vediamo cosa sono i videoterminali secondo la normativa vigente in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, chi sono i video terminalisti e quali forme di prevenzione dovrà mettere in campo il Datore di Lavoro per tutelare i lavoratori.

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Per chiarire il discorso, è fondamentale riportare fedelmente gli articoli trattati al Titolo VII del Testo Unico – Attrezzature munite di Videoterminali.

Cosa sono i videoterminali?

All’articolo 173 del T.U. sono riportate le definizioni utili per poter comprendere a chi sono rivolte le norme che tratteremo. Entriamo nel merito:

…“a) videoterminale: uno schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato;

b) posto di lavoro: l’insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, incluso il mouse, il software per l’interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l’unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l’ambiente di lavoro immediatamente circostante;

c) lavoratore: il lavoratore che utilizza un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni di cui all’articolo 175.”…

Già da una prima occhiata si evince chiaramente che non basta sedere davanti ad un monitor per essere definiti video terminalisti, lo stesso vale per tablet, smartphone e tutti gli attuali strumenti che spesso (vista l’attuale situazione di emergenza sanitaria) utilizziamo in quello che definiamo tele-lavoro o nello smartworking; bensì sono molte le caratteristiche da rispettare, dal software di interfaccia al piano di lavoro, e ancora di più le precauzioni che i datori di lavoro dovranno prendere per mettere il proprio lavoratore in condizione di lavorare in sicurezza.

All’articolo 174 infatti, proseguendo nella lettura, si trattano gli obblighi del d.l.

Quali obblighi ha il datore di lavoro nei confronti dei video terminalisti?

L’art. 174 cita che il D.L. dovrà valutare i rischi (come da art.28) connessi all’attività specifica con particolare riguardo:

ai rischi per la vista e per gli occhi;

ai problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico e mentale;

alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.

Il dl dovrà inoltre, secondo il comma 2, adottare le misure appropriate per ovviare ai rischi, tenendo conto della somma ovvero della combinazione della incidenza dei rischi riscontrati.

Infine (comma 3) organizza e predispone i posti di lavoro di cui all’articolo 173, in conformità ai requisiti minimi di cui all’ALLEGATO XXXIV, che si occupa di normare la postazione lavorativa che dovrà essere messa a disposizione del lavoratore, dettandone tutti i dettagli su ambiente e attrezzature, come misura di prevenzione.

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Come deve essere svolto il lavoro da video terminalista? (art. 175)

Il lavoratore riconosciuto video terminalista ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività, e le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale.

In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l’interruzione, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici minuti ogni due ore di applicazione continuativa al videoterminale.

Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità. In ogni caso le pause non sono cumulabili.

Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro.

La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.

All’interno dell’articolo 175 è chiaro che la pausa potrà essere svolta anche sotto forma di un cambio di mansione consono a consentire il recupero psico-fisico dalle due ore di videoterminale e che le pause non sono in nessun caso cumulabili dall’inizio alla fine della giornata lavorativa.

E la sorveglianza sanitaria? (art.176)

Un ruolo chiave sull’argomento lo riveste la sorveglianza sanitaria che all’art 176 riporta la necessità di sottoporre a visita i lavoratori video terminalisti, per i rischi connessi alla vista e all’apparato muscolo scheletrico. La periodicità delle visite di controllo è biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni e per i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età; quinquennale negli altri casi, salvo diverse prescrizioni del medico competente.

Il lavoratore è sottoposto a visita di controllo a sua richiesta, secondo le modalità previste all’articolo 41.

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Il datore di lavoro fornisce a sue spese ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell’attività svolta, quando l’esito delle visite ne evidenzi la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione.

L’ informazione (art.177)

…“In ottemperanza a quanto previsto in via generale dall’articolo 18, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:

– le misure applicabili al posto di lavoro, in base all’analisi dello stesso di cui all’articolo 174;

– le modalità di svolgimento dell’attività;

– la protezione degli occhi e della vista;

– assicura ai lavoratori una formazione adeguata.”

Sono previste come sempre sanzioni a carico del DL e dei Dirigenti che commettono una o più violazioni dei predetti articoli di legge.

…..Concludendo…..

L’inquadramento del video terminalista ad oggi non è semplice come sembra, soprattutto in quest’anno in cui abbiamo “scoperto” il lavoro smart effettuato direttamente da casa, dove risulta difficile distinguere i casi, ma di questo se ne parla nella normativa riguardante il lavoro agile che è altrettanto ampia ed in continua evoluzione, ora più che mai.

Lo Staff di direzionesicura

Isolamento o quarantena?

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In questo particolare momento storico, lo staff di direzionesicura, vuole contribuire nell’approfondire e diffondere le indicazioni della circolare ministeriale n.32850 del 12/10/2020 del Ministero della Salute, ed in particolare sulla differenza tra ISOLAMENTO e QUARANTENA.

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Vediamo subito le definizioni:

ISOLAMENTO: Consiste nel separare le persone, con documentata infezione da SARS-CoV-2, dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione.

QUARANTENA: Consiste alla restrizione dei movimenti di persone sane, per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi.(Può essere disposta solamente dall’ASL)

All’interno della circolare ministeriale sono anche state rivalutate le indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena. Nello specifico è stato precisato che:

Casi positivi asintomatici

Le persone asintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2 possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test).

Casi positivi sintomatici

Le persone sintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo), accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test).

Casi positivi a lungo termine (che non si negativizzano dopo 21 gg.)

Le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione), da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).

Contatti stretti asintomatici

I contatti stretti di casi con infezione da SARS-CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie, devono osservare:

  • un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso;
    • oppure
  • un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test negativo, antigenico o molecolare, effettuato il decimo giorno.

Seguendo quindi le indicazioni della circolare ministeriale del Ministero della Salute n.32850 del 12-10-2020 possiamo sintetizzare che:

fonte web

Se sono un CONTATTO del CONTATTO (ho avuto un contatto stretto con una persona che ha avuto contatto stretto con un positivo) non dovrò fare nulla a meno che la persona con cui ho avuto contatto non diventi, durante la sua quarantena, un positivo.

Se resto un CONTATTO ASINTOMATICO faccio la quarantena per 14 giorni. Se voglio uscire prima posso fare un tampone dal 10 giorno in poi (ho quindi dato il tempo all’eventuale contagio di palesarsi). Se ho un regolare contatto con persone a rischio, faccio sempre e comunque un tampone a fine quarantena.

Se invece divento un CONTATTO SINTOMATICO?

Faccio un tampone che, se negativo, mi rende libero (fermo restando la guarigione dai sintomi per ridurre la trasmissione anche di altre malattie, in quanto non esiste solo il Covid!)

Se il tampone è positivo, non sono più un “CONTATTO” ma divento un CASO.

Se resto un CASO ASINTOMATICO, rientro in comunità dopo un tampone negativo fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento.

Se divento un CASO SINTOMATICO, rientro in comunità dopo un tampone negativo, fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento ed almeno 3 giorni senza sintomi (tali 3 giorni possono essere inclusi nei 10 oppure successivi: la cosa può variare da caso a caso in base a quando si guarisca dai sintomi).

Se permango un CASO POSITIVO DI LUNGO TERMINE (ovvero uno di quei casi che pur guarendo da tutti i sintomi ad eccezione per alterazioni di gusto e olfatto che spesso persistono per molte settimane continuino ad avere tampone positivo), rientro in comunità dopo 21 giorni di isolamento, laddove autorizzato dalle autorità sanitarie in relazione al caso specifico: alcuni casi, come ad esempio gli immunodepressi, possono infatti restare molto contagiosi in modo prolungato e non saranno autorizzati.

fonte web

Alla fine di tutte queste definizioni avrete mal di testa e di conseguenza sentirete un brivido lungo la schiena per la paura di aver contratto il Covid…ma state tranquilli, seguendo le indicazioni date dal ministero e dagli organi competenti e soprattutto INDOSSANDO LA MASCHERINA, ne verremo fuori (speriamo presto)

Lo Staff di direzionesicura

Le Procedure

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In una organizzazione aziendale è bene avere sempre, oltre ad uno staff che ha ben chiari i compiti e gli obblighi da assolvere, delle direttive standardizzate per ogni singola mansione svolta.

Queste direttive, che possono essere elaborate dal Datore di lavoro o dal Dirigente (coadiuvati dal Preposto della specifica mansione), danno origine alle cosiddette procedure operative.

immagine dal web

Quindi una procedura non è altro che una raccolta di successioni logiche e consequenziali di atti tecnico-operativi di una determinata articolazione di lavoro, che si può anche definire come “protocollo”, per lo svolgimento di una data operazione.

Lo scopo delle procedure è quello di rendere lo svolgimento di una particolare attività lavorativa il più sistematico e logico possibile, tenuto conto anche della verificabilità delle azioni svolte, in modo particolare per le attività più complesse e per quelle lavorazioni che richiedono una maggiore attenzione ai dettagli.

All’interno delle procedure, oltre a trovare descritto chi deve fare cosa, vengono anche indicati i possibili pericoli a cui si può essere esposti e le relative prescrizioni, dpi e/o dpc da utilizzare.

Inoltre, dopo la redazione della procedura, è previsto un iter di approvazione e di verifica dell’applicabilità del contenuto; una volta superati i vari step di verifica, la procedura viene approvata e “standardizzata” per quel ciclo specifico di riferimento.

immagine dal web

Gli elementi fondamentali che compongono una procedura sono:

  • Titolo;
  • Scopo e applicabilità del documento;
  • Simboli, termini e definizioni;
  • Contesto applicativo;
  • Modalità di esecuzione (dove vengono descritte anche le misure di sicurezza);
  • Allegati (a supporto della lavorazione).

Insomma, con delle buone procedure non si lascia nulla al caso.

Più i processi vengono standardizzati e più si tende ad avere le idee chiare di cosa si fa ed è provato infatti, che “addestrandosi” quotidianamente alla procedura, si abbattono notevolmente i rischi di infortunio.

Cari datori di lavoro, prestate attenzione alle procedure cercando di concepirle come ausilio e strumento indispensabile al ciclo produttivo, e non come un obbligo dettato dall’avvento del terzo millennio.

Lo Staff di direzionesicura

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Ne vale sempre la pena?

Articolo in evidenza

Oggi tocchiamo un argomento molto delicato e che siamo sicuri abbia fatto perdere (almeno una volta) le staffe, la voglia e la motivazione a più di qualche soggetto che, come noi, si occupa di cercare di migliorare la Sicurezza negli ambienti di lavoro:

la celeberrima espressione “Si è sempre fatto così!”

Quello che più ci irrita non è l’espressione propria, quanto il significato di rinnegazione verso una modifica o cambiamento, che si racchiude all’interno del pensiero dell’elemento che la cita con una serenità da premio Oscar, inconsapevole dei danni che comporta quel suo atteggiamento scivoloso e non curante dell’evoluzione continua del mondo del lavoro e dei rapporti sociali.

fonte web

Da qui il titolo di questo articolo, ne vale sempre la pena? Quando ci si trova a dover combattere con la mentalità ottusa e l’ostruzionismo coatto nei confronti del cambiamento ne vale ancora la pena?

Noi personalmente “abbiamo mangiato tanto pane duro” in merito e chissà quanto ancora ne dovremo mangiare, abbiamo avuto momenti di sconforto, momenti in cui l’unica via d’uscita sembrava quella di abbandonare tutto e gettare la spugna perché come si sa, l’ignoranza voluta non si combatte con i tradizionali mezzi però, in virtù dei risultati alla lunga delle continue lotte in corso, di quelle passate e di quelle che sicuramente verranno domani possiamo dirvi a testa alta che SI’! NE VALE SEMPRE LA PENA!

Qualcosa si muove quando si insiste, per le lunghe, ma si muove.

NE VALE LA PENA resistere e continuare sulla via più tortuosa che è quella del non arrendersi ai primi ostacoli e neanche ai secondi ed ai terzi, perché le soddisfazioni di questo mestiere sono tante e molteplici; nessuno magari vi dirà mai “bravo” o “grazie” però, in sordina, quando leggete i report degli infortuni e degli incidenti ed il numero è insignificante o contenuto, quando è tappezzata l’azienda di cartellonistica e brochure informative, quando l’esercitazione a sorpresa di evacuazione produce i risultati aspettati, quando il lavoratore utilizza i D.P.I., quando il preposto è vigile, quando gli RR.LL.SS. vi danno i giusti feedback, ecc….bè….è anche (se non soprattutto) merito vostro.

Il nostro lavoro è per il 60% comunicazione ed è per questo che ci sconfortiamo quando l’interlocutore, che sia un lavoratore o il Datore di Lavoro stesso, non ci ascolta o ci ascolta prevenuto e con sufficienza.

Il nostro impegno deve essere costante nel migliorarci e nel capire il giusto canale per rendere efficiente il messaggio che vogliamo comunicare, adattando spesso il mezzo comunicativo all’interlocutore che abbiamo difronte, poiché non tutti percepiscono le informazioni allo stesso modo.

Nei momenti NO ricordatevi dell’importanza di questo mestiere e del fatto che diffondere la cultura della Sicurezza è fondamentale nella nostra società ancora troppo restia. Il nostro è un ruolo chiave, siate pazienti e le soddisfazioni arriveranno.

Concludiamo con due delle leggi di vita non scritte che a noi piacciono tantissimo:

ricordate che i cavalli buoni si vedono a lunga corsa ed anche che con la chiave giusta, si aprono tutte le porte!

Cercate la vostra chiave.

Lo Staff di direzionesicura

Il D.U.V.R.I.

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Il Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali è un documento che spesso viene sottovalutato e che invece riveste un ruolo chiave nell’organizzazione della sicurezza intorno ad una determinata lavorazione. Vediamo molto sinteticamente di cosa si tratta.

Frontespizio di un d.u.v.r.i.
Frontespizio di un d.u.v.r.i.

Cosa sono i rischi da interferenze

In ambito aziendale e nella disciplina della sicurezza sul lavoro i rischi derivanti da interferenze sono quei rischi che potrebbero verificarsi quando due o più realtà, che svolgono differenti prestazioni o opere, si trovano a svolgere la propria attività lavorativa nella stesso luogo di lavoro (contestualmente o meno).

L’importanza del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze

Chiarito cosa sono i rischi da interferenze l ’articolo 26 del Decreto Legislativo 81/2008 stabilisce che il datore di lavoro committente redige il D.U.V.R.I. (e NON le imprese o lavoratori autonomi affidatari del contratto d’appalto) in quanto il D.L. committente ha la disponibilità giuridica del luogo dove si svolgerà l’appalto e di conseguenza l’obbligo di valutare i rischi presenti e redigere il documento con lo scopo di abbatterli o ridurli al minimo.

Quando non è obbligatorio il D.U.V.R.I.

I soli casi in cui il DUVRI non va prodotto, come stabilito dal comma 3 bis dell’art. 26 del D.lgs. 81/08 sono i seguenti:

1. ai servizi di natura intellettuale;

2. alle mere forniture di materiali o attrezzature;

3. ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini/giorno*, sempre che essi non comportino rischi derivanti dal rischio di incendio di livello elevato, ai sensi del decreto del Ministro dell’interno 10 marzo 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 64 alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, o dallo svolgimento di attività in ambienti confinati, di cui al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177, o dalla presenza di agenti cancerogeni, mutageni o biologici, di amianto o di atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’allegato XI del presente decreto.

*Per uomini/giorno si intende l’entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture.

Prestate attenzione quando valutate i rischi da interferenze perché come detto e ridetto, un’attenta e accurata valutazione è la #direzionesicura per iniziare come si deve un appalto.

Lo Staff di direzionesicura

Rischio, Pericolo e Danno

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La valutazione di tutti i rischi è uno dei due obblighi non delegabili dal datore di lavoro, come sancito dall’articolo 17 del Testo Unico, allo stesso tempo “rischio” è una parola che si ripete quasi mille volte all’interno del D.Lgs. 81|08, diventando un cardine di questa materia che si basa appunto sull’obbiettivo di abbattere i rischi connessi ai processi lavorativi…quindi vediamo cos’è il rischio e cosa sono il pericolo ed il danno.

fonte immagine: internet

Il rischio

Il rischio nel nostro campo è definito come la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di un danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure la loro combinazione (art.2 lettera s, D.Lgs. 81/08)

Quindi cos’è il rischio?

E’ la probabilità che accada un certo evento capace di causare danni alle persone. Il concetto di rischio è legato all’esistenza di una fonte di pericolo e alla possibilità che si trasformi in un danno per qualcuno.

Risulta chiaro che non esiste rischio se non abbiamo pericolo…

Il pericolo

Questa volta alla lettera r del solito art.2 del T.U. troviamo che il pericolo è definito come la proprietà intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare un danno.

In soldoni, il Pericolo è la capacità non legata a fattori esterni, che una determinata situazione, un determinato luogo o un determinato strumento o oggetto ha di causare un danno alle persone.

E il danno?

Il danno è definito come una lesione fisica o un danno alla salute (UNI ENI ISO 12100) o qualunque conseguenza negativa derivante dal verificarsi di un evento (UNI 11230).

Capire come approcciarsi alla valutazione dei rischi è fondamentale in questo campo…un’ottima valutazione è un buon inizio ed è sicuramente la #direzionesicura da seguire.

Lo Staff di direzionesicura

I “ferri” di tutti i mestieri

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D.P.I. Dispositivi di Protezione Individuale

Ogni lavoro ha i propri “ferri del mestiere” ed i D.P.I. dovrebbero essere la seconda pelle di ogni lavoratore. Spesso scomodi, larghi o stretti, a scapito della sensibilità nelle lavorazioni più delicate e di precisione, sono l’ultimo scudo che ci preserva dagli infortuni. Quando con la prevenzione non si abbattono i rischi di una determinata lavorazione, indossandoli correttamente non facciamo un favore a nessuno se non a noi stessi, preservando la nostra salute. Indossare i Dispositivi di Protezione Individuale è la #direzionesicura da seguire oltre che un obbligo, infatti il lavoratore deve utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione individuale messi a sua disposizione e segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi (art.78 T.U.) nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui venga a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Secondo lo stesso articolo, i D.P.I. non devono mai essere modificati.

I REQUISITI DEI D.P.I.

I requisiti che devono rispettare i D.P.I. sono sanciti dall’articolo 76 del Testo Unico.

Essi devono: essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore; essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro; tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore; poter essere adattati all’utilizzatore secondo le proprie necessità.

In caso di rischi multipli che richiedono l’uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti.

CATEGORIE DI D.P.I.

I Dispositivi di Protezione Individuale si suddividono in tre categorie:

I DPI di I categoria sono destinati a salvaguardare la persona da rischi di danni fisici di lieve entità ed il cui effetto non causa lesioni irreversibili;

I DPI di II categoria sono utili a proteggere dai rischi medi e che non rientrano né alla I né alla III Categoria;

I DPI di III categoria salvaguardano da rischi di morte o lesioni gravi e di carattere permanente.

…….E ancora molto altro……

Ci sarebbero pagine di indicazioni e norme da scrivere ma a noi basta far passare il messaggio che si DEVONO usare i D.P.I. non tanto perché obbligo lavorativo, quanto obbligo verso se stessi e chi ci lavora intorno.

https://www.direzionesicura.it

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