...perchè la sicurezza è cosa di tutti...

Categoria: Il Rischio

La Percezione del Rischio

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La percezione del rischio è personale: decidiamo di affrontare o evitare la situazione di rischio in modo soggettivo. Ogni nostra attività quotidiana, è basata sulla percezione che noi abbiamo del rischio ed è il frutto di una sua conscia (o inconscia) valutazione. Il processo percettivo del rischio è poi fortemente influenzato dalle emozioni generate nel momento in cui scopriamo ed impariamo un nuovo pericolo e quale possibile danno può arrecarci.

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Ad esempio, un possibile pericolo è che il lavoratore ritenga di avere sotto controllo la situazione solo perché da molto tempo non si sono verificati incidenti.

La percezione individuale

La percezione individuale del rischio è influenzata da abitudini ed esperienze pregresse: l’individuo tende a sottovalutare i rischi connessi alle abitudini di lavoro (es. il mancato utilizzo di DPI), i rischi che si presentano quotidianamente (es. allestimento di un ponteggio) e quelli a bassa probabilità (es. crollo del ponteggio); si basa sull’esperienza personale o di altri; varia in rapporto all’accettabilità collettiva del rischio, che si modifica nel tempo, nei luoghi, nei gruppi di lavoro, nelle culture ed in rapporto ai valori personali e culturali, all’età, al sesso.

Tra i principli fattori che appunto influenzano la percezione individuale del rischio, ci sono sicuramente:

Fiducia
Rischio e Beneficio
Controllo
Libertà di scelta
Naturale o creato dall’uomo
Gravità delle conseguenze
Catastrofico o Cronico
Incertezza

Inoltre la percezione è influenzata anche dalle caratteristiche del “danno” o “evento” che deriva dal comportamento ritenuto a rischio, per esempio, il  fatto che  l’eventuale danno sia collocato in un lontano futuro, rende minore l’impatto emotivo del rischio (si pensi al fumo).

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La cultura della sicurezza e della formazione

La sicurezza va intesa come parte integrante di tutti gli aspetti. Questa comprende i processi organizzativi, le pratiche professionali, le norme scritte, le convenzioni informali, i linguaggi, i modi di pensare, di percepire e di rappresentare il rischio nell’azienda.
Chi gestisce l’azienda deve passare, dall’ottica di adempimento schematico e rituale delle leggi, ad un approccio condiviso di lavorare in sicurezza. Non favorire il benessere all’interno della struttura significa generare, a tutti i livelli, alibi che convergono verso soluzioni “comode” e non sicure.
Soprattutto la mera informazione non genera cambiamento nelle prospettive personali e l’applicazione di sanzioni disciplinari come punizione non può essere considerato il solo e unico strumento di costruzione di comportamenti sicuri. La percezione della cultura della sicurezza si ottiene soprattutto quando i dipendenti credono nella “mission” e la sicurezza viene “vissuta” giorno per giorno.
Quest’aspetto si intreccia a pieno titolo con il discorso della formazione, poiché maggiore è la percezione di attenzione generale e maggiore sarà la possibilità che i dipendenti apprendano le procedure di sicurezza.

Gli atteggiamenti individuali

La percezione del rischio è un processo cognitivo che condiziona le attività e gli atteggiamenti degli individui. I comportamenti sicuri, attuati nell’ambito del proprio lavoro, condizionano la vita quotidiana in molti dei suoi aspetti.
Eccezion fatta per alcuni meccanismi ritenuti oggettivi, la percezione del rischio è condizionata da una valutazione soggettiva del pericolo (propensione al rischio).

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Può infatti, capitare che lo stesso episodio venga percepito in maniera differente dalle persone. Nello svolgimento della propria attività lavorativa, c’è chi sovrastima il rischio a cui è esposto e chi invece tende a sottovalutarlo (illusione di sicurezza).
In generale c’è la tendenza a sottostimare il rischio di eventi con conseguenze di lieve o media gravità ma con alta probabilità di accadimento, e ad esagerare il rischio di eventi con conseguenze molto gravi ma con bassa probabilità di accadimento.
Un caso a parte risulta essere quello di chi ha avuto un’esperienza personale di infortunio, poiché episodi di questo tipo comportano un aumento della percezione del rischio e un calo della soddisfazione verso le misure di sicurezza adottate sul posto di lavoro.

Le differenze legate al tipo di lavoro

Analizzando la percezione del rischio in base a fattori come il tipo di occupazione svolta, il tipo di contratto lavorativo, l’esperienza maturata e le conoscenze possedute, il primo dato che emerge è che i lavoratori con mansioni non decisionali sarebbero più inclini agli infortuni rispetto ai lavoratori con più responsabilità e con incarichi superiori.
Anche le differenze di tipo contrattuale influenzano la percezione del rischio di ciascun lavoratore. Chi ha un contratto a tempo determinato tende ad avere una bassa considerazione dei rischi legati al proprio lavoro. I lavoratori a tempo indeterminato, invece, risultano avere una percezione del rischio maggiore e a mantenere un livello d’attenzione alto.
All’interno di questa analisi vanno considerati anche i lavoratori immigrati, che nel Paese ospitante sono spesso costretti ad accettare mansioni a più alto rischio e condizioni di lavoro più disagiate o pericolose (lavoro “a nero”, orari prolungati, straordinari). Rispetto ad altri dipendenti non ricevono un’adeguata formazione sulla sicurezza, con la conseguente mancanza di conoscenza dei rischi a cui sono esposti e una maggiore propensione agli infortuni.

Le differenze di genere

La cultura della sicurezza e la percezione del rischio sono valutate in maniera differente anche in base al sesso del lavoratore. Se vengono poste le stesse domande sulla sicurezza a lavoratori di genere differente, vedremo che le risposte non saranno le stesse. Le donne, infatti, risultano avere una maggiore sensibilità nella percezione del rischio rispetto agli uomini.

Probabilmente per il cosiddetto “istinto materno” che le contraddistingue, le donne riescono a raggiungere un maggior livello di partecipazione e coinvolgimento rispetto alle dinamiche sulla sicurezza nel posto di lavoro.

Le differenze legate all’età

In base all’età, si riscontra una maggiore incidenza di infortuni tra la popolazione lavorativa giovane, rispetto a quella più anziana. Questo fenomeno non è sempre dovuto alla disattenzione o all’impulsività, quanto invece, più frequentemente, alla poca esperienza professionale.
La scarsa propensione ad assumere comportamenti sicuri sul posto di lavoro da parte dei giovani, è dovuta a una minore presa di coscienza delle conseguenze che i determinati atteggiamenti possono avere poiché comporterebbe un cambiamento del proprio stile di vita.

I “near miss”

È evidente che gli incidenti rappresentino una miniera di informazioni vitale per la prevenzione degli infortuni.
In particolare la raccolta di dati e di informazioni sulla moltitudine di “quasi infortuni” che accadono in un’azienda, può favorire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e la scelta di politiche di prevenzione più efficaci.

Ai “near miss” (i quasi infortuni), ad esempio un’attrezzatura che cade (senza colpire nessuno) in un zona di passaggio dei lavoratori, viene infatti riconosciuto il ruolo di precursori di incidenti più gravi; un’attenta investigazione di tali eventi può quindi fornire indicazioni efficaci sui possibili interventi migliorativi, tecnici e gestionali nelle aziende.

In conclusione

Quando si parla di incidenti, le cause sono principalmente due e di solito sono contemporanee:
– la causa prossima: una manovra sbagliata, una disattenzione, una scivolata, un guasto della macchina;
– la causa remota: cattiva organizzazione del lavoro, inadeguata formazione e informazione, errata valutazione del rischio, mancanza di una cultura della
sicurezza.

La tutela della salute è la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Il testo unico definisce la salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza
di malattia o d’infermità.

La tutela della sicurezza quindi, comprende tutte le misure di prevenzione e protezione contro gli infortuni.

Lo staff di direzionesicura

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(per questo articolo si ringrazia A., uno dei nostri primi docenti)

Il Burnout

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Il termine inglese “burnout” può essere tradotto letteralmente in “bruciato”, “fuso” ed indica una condizione d’esaurimento emotivo derivante dallo stress dovuto alle condizioni di lavoro e a fattori della sfera personale ed ambientali.

fonte web

Dove nasce il burnout?

Il fenomeno fu studiato per la prima volta negli Usa da Herbert Freudenberger che nel 1974 pubblica il primo articolo sull’argomento (“Staff
burnout” in: Journal of Social Issues) in cui denomina burnout un quadro sintomatologico individuato in operatori di servizi sanitari (infermieri e
medici) particolarmente esposti allo stress conseguente al rapporto diretto e continuativo con un’utenza disagiata.

Successivamente C. Maslach (1976) descrive il burnout come malattia
professionale specifica degli operatori dell’aiuto (personale ospedaliero,
assistenti sociali, insegnanti), che colpisce soprattutto quelli più motivati e
con aspettative maggiori riguardo al lavoro.

In anni più recenti, sono state molte le conseguenze attribuite al fenomeno:

  • reazioni d’esaurimento emotivo a carichi di lavoro percepiti come eccessivi;
  • perdita di interesse per le persone con cui si lavora in risposta allo stress lavorativo;
  • disaffezione al proprio lavoro caratterizzato da delusione, insofferenza, intolleranza, sensazione di fallimento, perdita di interesse e di entusiasmo.

Può colpire chiunque!

Occorre però precisare che il burnout non colpisce solo le persone impegnate in professioni socio sanitarie, tutte le attività lavorative implicano contatti interpersonali e quindi un certo livello di tensione.

Cosa succede a livello comportamentale?

L’individuo affetto da burnout svilupperà una o più reazioni comportamentali come quelle di seguito descritte:

  • Profonda sensazione di stanchezza sia fisica che emotiva
  • Atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti interpersonali
  • Forte sentimento di frustrazione per mancata realizzazione delle
    proprie aspettative
  • Anedonia

a livello organizzativo invece…

  • Aumento dell’assenteismo
  • Aumento del turnover
  • Calo della performance
  • Calo della qualità del servizio
  • Calo della soddisfazione lavorativa

In sintesi…

Che siate esposti al pubblico o meno, che lavoriate nel sociale, in ambito sanitario o qualunque lavoro voi facciate, ricordate che l’eccessiva percezione dei carichi lavorativi, la sensazione di essere in perenne ritardo o non soddisfatti di come si lavori, a lungo fa molto male…bisogna parlare con chi ci sta intorno e far si che il lavoro resti il mezzo per condurre una vita serena e non l’unica ragione di vita come la società attuale ci sta portando a credere.

Lo Staff di direzionesicura

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Il Rischio RADON

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Oggi trattiamo un argomento spesso sottovalutato perché ancora poco conosciuto a molti, anche operanti nel nostro settore: il rischio Radon.

fonte web

Cosa è il Radon?

Il Radon è un gas radioattivo appartenente alla classe dei “gas nobili” prodotto dal decadimento radioattivo del Thorio e dell’Uranio 235-. Emette radiazioni ionizzanti, è incolore ed estremamente volatile, inodore, non reagisce con altri elementi chimici. E’ il più pesante dei gas conosciuti (densità 9.72 g/l a 0°C, 8 volte più denso dell’aria).

Come si propaga?

Il meccanismo principale che trasporta il gas dal suolo agli ambienti di vita chiusi è la differenza di pressione tra l’interno (in genere in depressione) e l’esterno dell’edificio, attraverso le fessurazioni, le aperture e le discontinuità (anche microscopiche) nelle strutture dell’edificio.

come il Radon entra in casa nostra

Il radon, essendo più pesante dell’aria, tenderà ad accumularsi all’interno degli ambienti chiusi o comunque scarsamente ventilati. E’ un inquinante tipicamente indoor “naturale”.

La sua pericolosità è però aumentata a causa dei moderni stili di vita e delle tecniche edilizie basate sul risparmio energetico e sul ridotto ricambio d’aria.

Quali sono i luoghi maggiormente a rischio?

immagine dal sito del ISS

I luoghi di lavoro adibiti ad uso o stoccaggio di materiali non radioattivi
ma contenenti elementi radioattivi naturali, ad esempio, aziende adibite
alla lavorazione di sabbie zirconifere, di terre rare, industrie di ceramiche,
produzione di materiali refrattari, etc.; luoghi di lavoro connessi con
attività estrattive o stabilimenti termali.

Anche i materiali per l’edilizia emettono diverse quantità di
radiazioni, a seconda della zona di provenienza. Alcuni materiali da costruzione (granito, tufo, porfido, basalto, cementi pozzolanici ecc.) contengono più radiazioni di altri.

…ed ancora…

Banche, Istituti di vigilanza, Musei, Caveau, locali di sicurezza, Gallerie, Cantieri, Sottovia, Locali commerciali;

Archivi di biblioteche, uffici, scuole, ospedali, immobili pubblici…

e altri luoghi di lavoro diversi da quelli precedentemente menzionati ma
situati in zone ad elevato rischio di contaminazione da Radon (individuate
dalle Regioni e dalle Province autonome).

Quali sono i danni per la salute?

Il Radon viene respirato insieme all’aria creando seri danni al sistema respiratorio. Nella fase di decadimento il Radon rilascia particelle alfa che possono provocare danni fisici e chimici al DNA delle cellule dell’epitelio polmonare.

Dal decadimento del Radon vengono poi a formarsi una serie di particelle solide radioattive che si accumulano nei polmoni sotto forma di elementi pesanti che continuano ad emettere radioattività e a danneggiare l’epitelio polmonare. L’accumulo dei danni al DNA può concretamente determinare l’insorgenza del cancro.

Considerato una delle maggiori cause di tumore al polmone dopo il tabacco, il Radon rappresenta un fattore di rischio rilevante per circa 1 milione di edifici in tutta Italia.
Sul territorio nazionale, si stima che più del 10% dei carcinomi polmonari sia imputabile al Radon.

Dove si necessita di una valutazione preventiva del Rischio Radon?

Come tutti i rischi, bisognerebbe valutarne sempre gli effetti anche latenti in qualsiasi ambiente di lavoro e di vita, in quanto è sempre molto difficile affermare che un rischio sia nullo o assente.

Detto ciò, ci sono comunque delle situazioni maggiormente a rischio, ovvero:

  • Costruzioni situate in regioni ad alto rischio per la natura geomorfologica del terreno;
  • Edifici costruiti su terreni ricchi di tufo, pietre di origine vulcanica, o in aree limitrofe a vulcani attivi o spenti;
  • Edifici costruiti utilizzando tufo, pietre laviche o cementi pozzolanici;
  • Locali interrati, seminterrati o situati ai piani bassi degli edifici e non attrezzati con idonei impianti di ricambio dell’aria a livello del pavimento;
  • Edifici costruiti su fondamenta prive di vespaio areato.
Immagine dell’ISPESL

Fondamentale è fare in modo che per le nuove costruzioni si adottino criteri anti-radon, come sigillare le possibili vie di ingresso dal suolo, predisporre un vespaio di adeguate caratteristiche cui poter facilmente applicare, se necessario, una piccola pompa aspirante ecc.

Come si misura?

La grandezza che viene presa come riferimento per valutare l’entità del fenomeno è la concentrazione di radon gas (o Radon 222) in aria. Viene espressa in Bq/m3 (Becquerel per metro cubo), ossia il numero di trasformazioni nucleari che ogni secondo sono emesse in un metro cubo di aria.

La misura si effettua con diverse tecniche: il metodo più diffuso ed economico è quello dei dosimetri degli addetti ai reparti di radiologia dei laboratori di analisi cliniche.

Qual è la normativa di riferimento?

Il D.L. 31 luglio 2020, n. 101, pubblicato in GU il Dlgs 31 luglio 2020 n° 101, ed entrato in vigore il 27 Agosto 2020, recepisce la Direttiva 2013/59/Euratom e riordina la normativa relativa alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

Il consiglio è sempre quello di valutare tutti i rischi possibili ed immaginabili, visibili e non visibili, perché un’attenta e minuziosa valutazione del rischio porta sicuramente ottimi risultati a lungo termine.


Lo Staff di direzionesicura

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I VIDEOTERMINALI SECONDO IL D.LGS 81/08

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Oggi vediamo cosa sono i videoterminali secondo la normativa vigente in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, chi sono i video terminalisti e quali forme di prevenzione dovrà mettere in campo il Datore di Lavoro per tutelare i lavoratori.

fonte web

Per chiarire il discorso, è fondamentale riportare fedelmente gli articoli trattati al Titolo VII del Testo Unico – Attrezzature munite di Videoterminali.

Cosa sono i videoterminali?

All’articolo 173 del T.U. sono riportate le definizioni utili per poter comprendere a chi sono rivolte le norme che tratteremo. Entriamo nel merito:

…“a) videoterminale: uno schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato;

b) posto di lavoro: l’insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, incluso il mouse, il software per l’interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l’unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l’ambiente di lavoro immediatamente circostante;

c) lavoratore: il lavoratore che utilizza un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni di cui all’articolo 175.”…

Già da una prima occhiata si evince chiaramente che non basta sedere davanti ad un monitor per essere definiti video terminalisti, lo stesso vale per tablet, smartphone e tutti gli attuali strumenti che spesso (vista l’attuale situazione di emergenza sanitaria) utilizziamo in quello che definiamo tele-lavoro o nello smartworking; bensì sono molte le caratteristiche da rispettare, dal software di interfaccia al piano di lavoro, e ancora di più le precauzioni che i datori di lavoro dovranno prendere per mettere il proprio lavoratore in condizione di lavorare in sicurezza.

All’articolo 174 infatti, proseguendo nella lettura, si trattano gli obblighi del d.l.

Quali obblighi ha il datore di lavoro nei confronti dei video terminalisti?

L’art. 174 cita che il D.L. dovrà valutare i rischi (come da art.28) connessi all’attività specifica con particolare riguardo:

ai rischi per la vista e per gli occhi;

ai problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico e mentale;

alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.

Il dl dovrà inoltre, secondo il comma 2, adottare le misure appropriate per ovviare ai rischi, tenendo conto della somma ovvero della combinazione della incidenza dei rischi riscontrati.

Infine (comma 3) organizza e predispone i posti di lavoro di cui all’articolo 173, in conformità ai requisiti minimi di cui all’ALLEGATO XXXIV, che si occupa di normare la postazione lavorativa che dovrà essere messa a disposizione del lavoratore, dettandone tutti i dettagli su ambiente e attrezzature, come misura di prevenzione.

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Come deve essere svolto il lavoro da video terminalista? (art. 175)

Il lavoratore riconosciuto video terminalista ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività, e le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale.

In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l’interruzione, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici minuti ogni due ore di applicazione continuativa al videoterminale.

Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità. In ogni caso le pause non sono cumulabili.

Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro.

La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.

All’interno dell’articolo 175 è chiaro che la pausa potrà essere svolta anche sotto forma di un cambio di mansione consono a consentire il recupero psico-fisico dalle due ore di videoterminale e che le pause non sono in nessun caso cumulabili dall’inizio alla fine della giornata lavorativa.

E la sorveglianza sanitaria? (art.176)

Un ruolo chiave sull’argomento lo riveste la sorveglianza sanitaria che all’art 176 riporta la necessità di sottoporre a visita i lavoratori video terminalisti, per i rischi connessi alla vista e all’apparato muscolo scheletrico. La periodicità delle visite di controllo è biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni e per i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età; quinquennale negli altri casi, salvo diverse prescrizioni del medico competente.

Il lavoratore è sottoposto a visita di controllo a sua richiesta, secondo le modalità previste all’articolo 41.

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Il datore di lavoro fornisce a sue spese ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell’attività svolta, quando l’esito delle visite ne evidenzi la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione.

L’ informazione (art.177)

…“In ottemperanza a quanto previsto in via generale dall’articolo 18, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:

– le misure applicabili al posto di lavoro, in base all’analisi dello stesso di cui all’articolo 174;

– le modalità di svolgimento dell’attività;

– la protezione degli occhi e della vista;

– assicura ai lavoratori una formazione adeguata.”

Sono previste come sempre sanzioni a carico del DL e dei Dirigenti che commettono una o più violazioni dei predetti articoli di legge.

…..Concludendo…..

L’inquadramento del video terminalista ad oggi non è semplice come sembra, soprattutto in quest’anno in cui abbiamo “scoperto” il lavoro smart effettuato direttamente da casa, dove risulta difficile distinguere i casi, ma di questo se ne parla nella normativa riguardante il lavoro agile che è altrettanto ampia ed in continua evoluzione, ora più che mai.

Lo Staff di direzionesicura

Rischio, Pericolo e Danno

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La valutazione di tutti i rischi è uno dei due obblighi non delegabili dal datore di lavoro, come sancito dall’articolo 17 del Testo Unico, allo stesso tempo “rischio” è una parola che si ripete quasi mille volte all’interno del D.Lgs. 81|08, diventando un cardine di questa materia che si basa appunto sull’obbiettivo di abbattere i rischi connessi ai processi lavorativi…quindi vediamo cos’è il rischio e cosa sono il pericolo ed il danno.

fonte immagine: internet

Il rischio

Il rischio nel nostro campo è definito come la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di un danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure la loro combinazione (art.2 lettera s, D.Lgs. 81/08)

Quindi cos’è il rischio?

E’ la probabilità che accada un certo evento capace di causare danni alle persone. Il concetto di rischio è legato all’esistenza di una fonte di pericolo e alla possibilità che si trasformi in un danno per qualcuno.

Risulta chiaro che non esiste rischio se non abbiamo pericolo…

Il pericolo

Questa volta alla lettera r del solito art.2 del T.U. troviamo che il pericolo è definito come la proprietà intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare un danno.

In soldoni, il Pericolo è la capacità non legata a fattori esterni, che una determinata situazione, un determinato luogo o un determinato strumento o oggetto ha di causare un danno alle persone.

E il danno?

Il danno è definito come una lesione fisica o un danno alla salute (UNI ENI ISO 12100) o qualunque conseguenza negativa derivante dal verificarsi di un evento (UNI 11230).

Capire come approcciarsi alla valutazione dei rischi è fondamentale in questo campo…un’ottima valutazione è un buon inizio ed è sicuramente la #direzionesicura da seguire.

Lo Staff di direzionesicura

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